Per Pucci il cambiamento si chiama Screen Content ossia l’integrazione dei contenuti editoriali consumati su schermo o, meglio, su diversi schermi connessi: tv, tablet, smartphone, personal computer. «Un sistema editoriale integrato spiega il manager dove convergono contenuti della carta stampata, video, musica…». Sintesi perfetta dell’integrazione tra contenuti e piattaforme sono i video on demand, che in Netflix trovano l’esempio più famoso a livello globale, ferme restando alcune barriere «tecniche» tra cui le infrastrutture non sempre all’altezza e la pirateria che sottrae una fonte considerevole di guadagni al mercato. «E proprio nei Vod si individua un punto chiave dello Screen Content da comprendere prima di esserne sopraffatti» commenta Pucci: «la creazione di piattaforme globali che rendono di fatto nullo il ruolo delle strutture produttive nazionali. Non è più il prodotto che circola, ma l’intera piattaforma».
Secondo il report, il 2015 ha visto un lievissimo incremento del giro di affari legati ai contenuti editoriali, passato da 23,5 miliardi del 2014 agli attuali 23,7. Si tratta del primo anno in cui il settore non subisce una contrazione, Crescono anche le risorse attratte dal mercato audiovisivo (utenti, stato e imprese): dopo la diminuzione dell’1,5% del 2014, nel 2015 sono cresciute dell’1,6%. Ma il dato più interessante è proprio la maggior centralità che il sistema dello Screen Content sta guadagnando. «È complesso quantificarlo dal punto di vista economico» commenta Pucci. «Non ha i contorni ben definiti. Si può però affermare che i consumi online siano aumentati negli ultimi anni, erodendo importanti quote di mercato ai settori classici». Proprio nel mercato online si trova l’area di formazione del mercato dello Screen Content. Se è difficile stabilirne il valore, individuarne le dinamiche non lo è. La difficoltà nel distinguere chi è un soggetto editoriale e chi non lo è: «Un esempio? Facebook, Youtube, Twitter che non producono contenuti, mali pubblicano, veicolando anche pubblicità da cui traggono ricavi» continua Pucci. «E lo fanno fuori dalle regole oda un sistema di controllo, come invece fanno i canali televisivi tradizionali». Come viene sottolineato nel report, i ricavi di Google (che attrae risorse pubblicitarie su Internet) generati nel mercato italiano rappresentano circa il 50% dell’intera torta della pubblicità via web. Una cifra che riesce a far capire bene il trend dei prossimi anni che vede le risorse spostarsi sempre più verso il web al punto che entro il 2020 metà del mercato pubblicitario potrebbe essere online.
Da CorrierEconomia