«Il problema dei nostri territori è che il risultato non lo raggiungerai mai, perché ci vuole tempo. Io, da Marcianise, ho mandato dei messaggi. Ho introdotto un metodo: la trasparenza e il disinteresse totale rispetto agli interessi che girano in questa città».
A parlare così è Antonello Velardi, Sindaco di Marcianise dal 2016, al centro di numerose battaglie in difesa del suo Comune. Un amministratore atipico, trovatosi ad emigrare dalla redazione de “Il Mattino” all’ufficio che sorveglia dall’alto la storica Piazza Umberto I. Qualche chilometro più in là da questo scenario c’è la zona industriale, nella quale lo scorso 26 ottobre è andato a fuoco l’ennesimo impianto di stoccaggio di rifiuti: l’azienda “LEA”. D’allora il sindaco Velardi e i cittadini marcianisani hanno spinto l’acceleratore su quello che è stato definito dallo stesso primo cittadino un “disastro ambientale”.
Sindaco Velardi, più volte dopo la vicenda “LEA” ha detto di sentirsi da solo, cos’è mancato?
«Mi sento solo: problema di mancanza di raccordo istituzionale. Per una materia come quella dei rifiuti sarebbe indispensabile ciò che prevede l’ordinamento tedesco: di fronte a questioni che riguardano più soggetti/enti interessati, l’ordinamento prevede l’obbligo della leale collaborazione tra i soggetti e, se viene disatteso, c’è la possibilità di rivolgersi al giudice. In Italia quando più soggetti collaborano, c’è la fuga dalle responsabilità. La questione dei rifiuti è competenza delle province, viene poi articolata al Ministro dell’Ambiente, e la ricaduta si ha sui Comuni. Non c’è sintonia tra la Provincia, la Regione e il Comune. Il Comune, in questo sistema, è l’anello debole. Nel caso specifico della LEA, la norma prevede che la chiusura poteva essere fatta dal Prefetto, ma l’ho fatta io. Questo dà il senso del mancato raccordo istituzionale».
Insomma c’è un problema nella Regione?
«Sì. La Regione non ha un approccio attento nell’articolazione dei suoi uffici, un approccio non giusto in ciò che avviene nell’area industriale, in quelli che sono gli insediamenti produttivi che riguardano i rifiuti. Se pensano di fare un processo di re- industrializzazione prendendo i capannoni industriali e anziché mettendoci dentro le nuove unità produttive e quindi riutilizzare un capannone, mettendoci rifiuti (consentito che ci vadano effettivamente rifiuti), non è più un sito produttivo. È un sito che inquina anche se è stato fatto secondo le norme, figuriamoci se invece è stato fatto come lo hanno fatto, ovvero nel non rispetto delle norme. Non accorgersi di ciò da parte della Regione è un fatto negativo».
L’ATO rifiuti è un ennesimo problema o la soluzione?
«Sui rifiuti ho una mia idea, ragiono con una logica aziendale. Se hai fatto crack, te ne devi andare. Me ne sono andato dall’ATO rifiuti perché hanno nominato come direttore generale uno che è stato protagonista del sistema dei rifiuti finora. Avrei preferito una persona che venisse da fuori, senza rapporti col territorio, legami di alcun tipo, e con una logica completamente nuova. Resti avviluppato, azzavorrato. C’è un clamoroso conflitto di interessi».
Una recente indagine ha dimostrato il sodalizio criminale tra i clan Piccolo e Belforte di Marcianise, che idea si è fatto?
«La criminalità organizzata è un alibi, è un fatto storico che esiste. Premesso che è un’ala militare e che hanno fatto dei danni enormi, il problema sono proprio le articolazioni nel complesso: devono funzionare l’ufficio tecnico di Casal di Principe, di Castel Volturno, di Marcianise ecc… Arrestare non significa risolvere il problema. Il Comune interviene in una fase patologica, tutti devono avere una funzione, la democrazia svolge un ruolo molto basso nei nostri territori».
Che messaggio dare ai giovani nell’ottica del loro futuro? Restare, per poter cambiare le cose, oppure andarsene, perché altrove determinate cose non succedono?
«Credo molto nella forza dei giovani. Devono essere loro a dire: “vogliamo cambiare il mondo”. Io la voglia di cambiarlo, ce l’ho. È chiaro che chi resta qui si trova in una condizione molto più pesante e grave di altri territori. Questo non riguarda solo i giovani, riguarda anche gli imprenditori, i Sindaci, tutto il sistema. Se i giovani non hanno voglia di cambiarlo, sono legittimati ad andare via. Io devo dare un messaggio positivo, quello di restare perché sto cambiando, sto facendo, sto dando un messaggio completamente nuovo. I giovani devono assumere posizione perché devono agire con la loro testa, devono essere tosti, perché la vita è tosta e così funziona!».
di Alessia Giocondo e Antonio Casaccio