Da sempre le geishe subiscono la nomea di “escort di lusso”, frutto di un falso retaggio culturale che non fa che sminuire un ruolo, quello delle geishe, che è molto più di ciò che erroneamente crediamo.
La geisha è, infatti, un vero e proprio simbolo di una delle culture più antiche del mondo per ridurla ad una mera banalizzazione data da una visione semplicistica del loro ruolo. Scopriamo, quindi, qualcosa in più su questa storica figura.
Le origini delle geishe
Siamo nel periodo Edo (1603-1868) quando, tra artisti e musicisti, furono in realtà le donne ad affinarsi nell’arte dell’intrattenimento raffinato per diventare le prime vere geishe. Da cortigiane istruite che intrattenevano nobili e guerrieri samurai con le loro capacità artistiche e intellettuali a vere e proprie intrattenitrici sofisticate e professionali. Nel tardo ‘800 arrivò il loro periodo di massimo splendore. La borghesia emergente, la nobiltà e gli stranieri in visita affollavano i quartieri delle geishe, noti come “hanamachi” per godere dell’arte e dell’eleganza di queste donne.
Ma guai a fermarsi alle apparenze, le geishe non sono mai state meri ornamenti giapponesi. Erano, anzi, un simbolo di quello che oggi chiameremmo “girl-power”. Come donne istruite potevano, infatti, partecipare a conversazioni intellettuali con uomini di potere, che fornivano loro un’opportunità unica di influenzare le decisioni e le politiche.
Come si diventa una geisha?
Tutti ricordiamo la scena iniziale del film di Mulan, in cui la Mezzana la sottopone ad un iter piuttosto intenso per renderla “la sposa perfetta”. Immaginate una scena simile per la preparazione necessaria per poter ricoprire il ruolo di geisha. Quando una ragazza viene scelta per diventare una maiko, si sottopone infatti ad un vero e proprio esame iniziale in cui si valuta aspetto, personalità e predisposizione all’apprendimento delle arti tradizionali. Dopo la selezione, le maiko iniziano ad indossare il tradizionale abbigliamento delle geishe: un kimono colorato e lussuoso. Arriva poi il dettaglio che da sempre le contraddistingue, il trucco. Uno spesso strato di bianco sulla pelle tipico della cultura orientale ed occhi e labbra enfatizzati con colori vivaci.
Le maiko sono tenute a comportarsi con eleganza, ad utilizzare il linguaggio appropriato e a svolgere la cerimonia del tè in modo impeccabile. Sono incoraggiate a sviluppare la propria personalità sapendosi adattare al gusto dei loro ospiti. Vengono istruite nell’apprendimento di abilità artistiche fondamentali, come suonare strumenti musicali ed esibirsi in danze tradizionali giapponesi.
Ma, oggi, che fine hanno fatto le geishe?
Verso la fine della Seconda Guerra Mondiale, il tradizionale sistema delle geishe subì un declino a causa delle devastazioni del conflitto e dell’influenza della cultura occidentale. Eppure, negli anni successivi, le geishe riuscirono a ritagliarsi nuovamente uno spazio nella società giapponese come custodi delle tradizioni culturali e dell’arte classica. Oggi, sebbene il numero di geishe sia significativamente diminuito, queste figure affascinanti continuano ad essere rispettate come icone culturali del Giappone. Le geishe mantengono viva la tradizione, rappresentando un legame con il passato e contribuendo al turismo culturale nel paese.
Allora dov’è nato il falso mito che associa questa figura a quella di una escort di lusso?
Questo qui pro quo, diffusosi nel periodo dell’occupazione americana, ha portato alla diffusione dell’immagine delle geishe confuse con le cortigiane di lusso, chiamate oiran.
Come le geishe, queste portano elaborate acconciature e tingono il viso di bianco ma sono due figure totalmente differenti nella cultura giapponese. Un semplice modo per distinguerle è che le oiran portano l’obi (la cintura a fiocco legata in vita nel kimono) sul davanti, mentre le geishe lo portano dietro proprio perché per le prime, dovendosi svestire spesso, l’obi risulterebbe in una posizione più semplice e veloce da rifare una volta finita la prestazione.
Quello che sembra un luogo comune di poca importanza in realtà, rischia quindi di sminuire e confondere quella che è a tutti gli effetti un’arte della cultura giapponese, un retaggio di anni ed anni di tradizione che non può essere ridotto ad un mero (e falso) luogo comune!
di Ludovica Palumbo e Gianrenzo Orbassano