Nell’articolo di agosto (in questa Rivista, 2023), dopo aver introdotto il sistema normativo del testo unico ambientale (d.lgs. n. 152/2006), siamo scesi nel dettaglio della disciplina sanzionatoria affrontando, in particolare, il deposito incontrollato ovvero l’abbandono di rifiuti previsto dall’art. 255. In questo numero esamineremo invece le sanzioni previste dal fondamentale articolo 256 del decreto ambiente. Vediamone una rapida panoramica.
LE SANZIONI DEL DECRETO AMBIENTE
La principale delle incriminazioni in tema di rifiuti è contenuta proprio nel primo comma, dove sono penalmente sanzionate le condotte aventi a oggetto rifiuti pericolosi (e non), e consistenti nella raccolta, nel trasporto, nel recupero, nello smaltimento, nel commercio e nell’intermediazione di rifiuti. Sono le condotte che siamo, purtroppo, più tristemente abituati a subire nei nostri territori.
Le pene prevedono l’arresto da sei mesi a due anni e l’ammenda da duemilaseicento a ventiseimila euro se riguardano rifiuti pericolosi e l’arresto da tre mesi a un anno o l’ammenda da duemilaseicento a ventiseimila euro se concernono rifiuti non pericolosi [lett. b) e a) del comma 1].
Si può semplificare affermando che la norma punisce una serie di comportamenti tutti rientranti nel concetto di “gestione dei rifiuti”. Nella norma sulle definizioni (art. 183, lett. n del testo unico) è chiarito che per gestione si intende appunto: “la raccolta, il trasporto, il recupero, compresa la cernita, e lo smaltimento dei rifiuti, compresi la supervisione di tali operazioni e gli interventi successivi alla chiusura dei siti di smaltimento, nonché le operazioni effettuate in qualità di commerciante o intermediario”.
Quindi, le condotte di raccolta (che significa prelevare i rifiuti, compresi la cernita preliminare e il deposito preliminare alla raccolta), trasporto (muovere da un luogo a un altro con uso di un veicolo), recupero (praticare qualsiasi operazione il cui principale risultato sia di permettere ai rifiuti di svolgere un ruolo utile), smaltimento (tutto ciò che non implica recupero), commercio e intermediazione di rifiuti, per poter essere considerate reato, oltre ad essere abusive (perché non autorizzate) devono assumere le caratteristiche della “gestione”, che vuol dire assenza di assoluta occasionalità.
Se fosse assolutamente occasionale, pur configurando un trasporto, una raccolta, un recupero e via dicendo, la condotta non costituirebbe reato.
Gli indici per valutare l’assoluta occasionalità, secondo la Cassazione, si desumono: dal peso dei rifiuti, dalla natura degli stessi (quindi dalla tipologia), dalla necessità di un veicolo adeguato e funzionale, dal numero dei soggetti coinvolti, dalla provenienza degli stessi da un’attività di impresa, dalla eterogeneità dei rifiuti, dalla quantità, dalla caratterizzazione degli stessi indicative di precedente attività preliminare al prelievo quale il raggruppamento, la cernita e il deposito.
La sussistenza di una “gestione”, come detto necessaria perché si materializzi il reato, è stata spesso discussa ad esempio per i trasporti unici di rifiuti, compresi quelli aventi a oggetto rifiuti autoprodotti da un’impresa.
Al riguardo la Cassazione ha ribadito che anche un solo trasporto può costituire reato e non necessita che sia eseguito da un soggetto con qualifica di imprenditore.
Il reato di cui al comma 1 può essere commesso da chiunque e, per possedere però i caratteri della gestione più volte citata, abbisogna che siano verificati gli indici prima descritti.
Per il resto, dunque, qualsiasi di queste attività concernenti i rifiuti, tenute in assenza di autorizzazione o in violazione di quanto prescritto dall’autorizzazione esistente, configura reato.
GLI ALTRI REATI
Altro reato previsto dall’art. 256 è quello di cui al comma 2 che sanziona, con le medesime pene di cui al comma 1, il deposito incontrollato di rifiuti, condotta esaminata nel numero di agosto di questa Rivista, quando però sia realizzata non da un semplice cittadino, ma da titolari di imprese ovvero responsabili di enti.
Come già anticipato, se la condotta di deposito incontrollato (o di abbandono di rifiuti) è realizzata da un imprenditore o dal responsabile di un ente, essendo chiaramente più grave, comporta l’irrogazione di una sanzione penale, mentre per l’identica condotta del singolo cittadino è prevista (come visto con l’analisi dell’art. 255) solo una sanzione amministrativa.
L’elemento che distingue il reato dall’illecito amministrativo è quindi la qualità, posseduta dall’agente, di imprenditore o di responsabile di un ente.
Altro importante reato è poi quello previsto dal comma 3 dell’art. 256. Qui si punisce, con l’arresto da sei mesi a due anni e con l’ammenda da duemilaseicento a ventiseimila euro, chiunque “realizza” o “gestisce” una discarica non autorizzata.
Anche in questo caso sono previste pene diverse a seconda di rifiuti pericolosi o non (la pena è dell’arresto da uno a tre anni e dell’ammenda da cinquemiladuecento a cinquantaduemila euro se la discarica raccoglie, anche solo in parte, rifiuti pericolosi) ed è stabilita, come ulteriore fondamentale conseguenza, la confisca dell’area dove è stata realizzata la discarica oltre all’imposizione di obblighi di bonifica e ripristino dello stato dei luoghi.
Per discarica abusiva si intende l’accumulo di rifiuti (per effetto di una condotta ripetuta) in una determinata area, trasformata di fatto in deposito o ricettacolo con tendenziale carattere di definitività, in considerazione delle quantità considerevoli degli stessi e dello spazio occupato. È dunque sufficiente l’accumulo dei rifiuti e non è necessario che siano in corso attività di trasformazione, recupero e riciclo perché simili attività sono proprie dei centri raccolta autorizzati e non delle discariche abusive.
Anche questa condotta è realizzabile da chiunque ed è tristemente molto diffusa nelle nostre zone dove sovente si notano luoghi privati (talvolta abbandonati) con preoccupanti accumuli di rifiuti. Per la punizione è sufficiente la colpa, per cui i proprietari delle aree non potranno invocare una condizione di semplice negligenza affermando che i rifiuti siano stati collocati da altri.
Va precisato che se le condotte di cui al comma 1 (cioè il trasporto, la raccolta, etc.), al comma 2 (il deposito incontrollato) o quelle inerenti la creazione di una discarica (comma 3), non sono totalmente abusive, ma tenute in violazione di autorizzazioni (o simili) esistenti, le pene previste nei rispettivi commi saranno ridotte della metà.
Così, è evidente che disporre di un’autorizzazione e violarne le prescrizioni è condotta sì costituente reato, ma meno grave rispetto a quella connotata dalla radicale mancanza di qualsiasi autorizzazione.
Il comma 5 poi considera reato la condotta di chi viola il divieto di miscelare rifiuti pericolosi in assenza di autorizzazione e alle condizioni previste dalla legge (art. 187, comma 2), mentre il comma 6 si riferisce esclusivamente alla specifica categoria dei rifiuti sanitari pericolosi.
Secondo tale comma costituisce reato (punibile con l’arresto da sei mesi a due anni e con l’ammenda da duemilaseicento a ventiseimila euro) anche il semplice deposito temporaneo degli stessi presso i luoghi di produzione.
Ai sensi dell’art. 183, il deposito è temporaneo se il raggruppamento di rifiuti sia preliminare alla raccolta, non superi l’anno (o il trimestre se il volume è superiore ai 30 mc) e insista su un luogo nella disponibilità del produttore e dotato dei presidi di sicurezza.
Se il volume dei rifiuti però non supera i 200 litri, la condotta comporta una più lieve sanzione amministrativa anziché penale.
Chiudono l’articolo 256 due sanzioni amministrative. Quella di cui al comma 7, il quale punisce con sanzione pecuniaria da duecentosessanta a millecinquecentocinquanta euro la violazione ai commi 7, 8 e 9 dell’art. 231 del codice. Si tratta degli obblighi burocratici e documentali dei concessionari e dei titolari delle succursali delle case costruttrici prima di alienare, smontare o distruggere i veicoli a motore e i rimorchi.
Vi è poi la previsione del comma 8 che punisce con la sanzione pecuniaria da ottomila a quarantacinquemila euro il detentore di oli esausti il quale non partecipi agli obbligatori consorzi di raccolta degli oli esausti previsti dalla legge (art. 233, 235 e 236).
Tuttavia, sancisce l’ultimo comma della disposizione, se l’adesione ai consorzi avviene entro 60 giorni dalla scadenza del termine per l’adempimento degli obblighi la sanzione del comma 8 è ridotta della metà.
Come visto, dunque, tra sanzioni penali e amministrative, l’articolo 256 punisce un ventaglio ampio e articolato di condotte che riguardano i rifiuti.
Si tratta di condotte sanzionabili anche a titolo di colpa, quindi anche quando non volute, ma dovute a negligenza, imprudenza imperizia o all’inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline (art. 43 codice penale).
A queste si accompagnano quelle ancora più gravi e odiose, oggi previste dagli art. 452 bis e ss. del codice penale (delitti contro l’ambiente), di cui ci occuperemo nei prossimi numeri.
Purtroppo, si tratta di condotte piuttosto frequenti nella prassi e che possono minare alla salute oltre che, in senso più ampio, all’amenità e alla gradevolezza dei luoghi, troppo spesso funestati dall’indiscriminata presenza di rifiuti.
È vero d’altra parte che molti passi in avanti sono stati fatti rispetto al passato anche recente, ma sul tema non siamo ancora a un livello accettabile e molta strada è necessario ancora percorrere.
di Francesco Balato