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L’aborto in un paese civile: Anna Cercignano racconta la sua storia in un fumetto

Alina D'Aniello 07/02/2020
Updated 2020/02/07 at 5:21 PM
5 Minuti per la lettura
Aborto. Una parola che ancora si teme nel pronunciarla, perché circondata di ipocrisie, moralismi e tabù. Una parola che sa di sporco, di impuro e che diventa un marchio a fuoco sulla pelle di tutte quelle donne che decidono di ricorrervi, vedendosi private dell’esercizio di un loro diritto: la libertà di scelta.

C’è una donna che però, ha avuto il coraggio di liberarsi della coltre di vergogna che vuole ricoperte tutte coloro che interrompono la propria gravidanza, e lo ha fatto raccontando la propria esperienza attraverso un fumetto. “Vita, l’aborto in un paese civile”, questo il titolo della graphic novel disegnata da Anna Cercignano, autrice di un coraggioso racconto autobiografico sul percorso socio-sanitario affrontato da lei stessa nel perseguire il proprio diritto all’autodeterminazione. Una denuncia, la sua, oltre che alla problematica sociale, anche alla disinformazione che gravita intorno al tema dell’aborto e dei diritti sessuali e riproduttivi nel mondo.
La pubblicazione del fumetto è stata curata dall’associazione “Altrinformazione” e da “Obiezione Respinta”, un progetto web nato da “Non una di meno” che fornisce una mappatura dell’Italia in continuo aggiornamento sulle strutture presidiate da obiettori di coscienza, al fine di supportare e informare le donne. Infatti, nonostante nella vita una donna su tre decida di abortire, il silenzio è la piaga principale con cui fare i conti, e che colpisce soprattutto i più giovani.
Riuscire a portare questo libro e questo tema nelle scuole, specie in quelle del Sud Italia, dove la percentuale di medici obiettori arriva a superare il 90%, rappresenterebbe il traguardo principale per Anna.

Da dove nasce l’esigenza di raccontare un’esperienza così intima? 

«Da quando mi è stato regalato il primo diario col lucchetto, all’incirca in prima elementare, ho cominciato a farne uso. Mi piaceva disegnare e quindi, oltre la scrittura, usavo il fumetto per darmi voce. Poi, quando sono diventata vittima di episodi di bullismo, scrivere su un diario non è stato più un passatempo, ma un modo per elaborare l’umiliazione che stavo vivendo.
La mia esigenza di raccontare un’esperienza dolorosa quindi, è nata dal modo più autentico che conosco di fare i conti con il mio dolore, con le mie scelte, con la mia vita».

Come è stata accolta la sua opera dall’opinione pubblica?

«Ho ricevuto tantissimi messaggi in privato, molte condivisioni, di quella che all’inizio era solo una storia pubblicata su un portale online. Ricevere messaggi dal pubblico maschile è stata, senza ombra di dubbio, la cosa che mi ha meravigliata di più: uomini che hanno accompagnato la compagna lungo il calvario socio-sanitario per poter abortire, oppure che non avevano mai riflettuto sul tema in una certa chiave. In generale, i tanti messaggi, mi hanno dato un quadro amaro di quella che è la situazione in Italia riguardante tutto l’iter per abortire».

A che punto siamo in Italia e perché, a differenza di altri Paesi, l’aborto è considerato ancora un tabù? 

«L’Italia è un paese dove l’aborto è stato legalizzato, ma ha di fatto il 70% di medici obiettori di coscienza. Questa contraddizione, fa sì che il diritto all›aborto, regolamentato dalla legge n. 194/1978, non venga rispettato. Il tabù legato al tema dell’aborto e la condanna alle persone che decidono di ricorrere all’interruzione di gravidanza, fa parte, a mio parere, di un piano non scritto, ma volto al controllo del corpo delle donne. In sostanza, per uno stato, le donne sono potenziali incubatrici di forza lavoro, di consumatori e di merce, come spesso viene trattata una vita umana. Se questa categoria prende consapevolezza dei propri diritti, si va a sfaldare una cultura maschilista che ha radici profonde migliaia di anni. Il diritto alla contraccezione di emergenza e all’aborto, dovrebbero essere sostenuti in quanto gesto di responsabilità, ma in un Paese dove non c’è educazione sessuale, o dove questa viene gestita da enti anti-choice si fa presto a far passare che, a ricorrere all’aborto, ci sia solo da vergognarsi».

di Carmelina D’Aniello

TRATTO DA MAGAZINE INFORMARE N°202 – FEBBRAIO 2020

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