Giulio Regeni e Patrick Zaki, quel filo rosso che collega i due studenti universitari.
Condannato e poi graziato. Questo è il grande destino di Patrick Zaki, lo studente arrestato in Egitto nel 2020. I motivi sono l’aver scritto un articolo e vari post critici sul governo egiziano. Nell’annunciare la notizia della grazia, avvenuta il giorno seguente alla condanna, sono stati in molti a domandarsi che cosa potrebbe chiedere in cambio l’Egitto al nostro paese.
Durante una telefonata intercorsa tra la Premier Giorgia Meloni e Al-Sisi, è stato dichiarato ufficialmente che si è trattato di un importante occasione per discutere dei rapporti bilaterali tra i due paesi. la presidente Meloni ha fatto bene a ringraziare il generale Al-Sisi. Perché va preso nota di un passetto. Ma ci sono altri che sono stati liberati, insieme a Zaki?
Il caso Egitto è drammaticamente aperto. Non si chiude qui il caso Regeni, che si teme non arriverà mai a una soluzione. Ma in Egitto ci sono ancora i cosiddetti «avversari politici» in carcere. Centinaia, se non migliaia, di persone di cui le famiglie non sanno più niente. E per i quali non sono noti i capi di imputazione.
La morte di Giulio Regeni
È necessario ricordare che tra questi due paesi c’è un altro tema ancora aperto sul quale non è mai stata mostrata da parte dell’Egitto al Cairo nel 2017, ritrovato senza vita pochi giorni dopo e la cui famiglia non ha mai avuto alcuna risposta. Sono passati sette anni dal rapimento del giovane ricercatore. Da allora le indagini hanno cercato di trovare i colpevoli, fra l’assenza di collaborazione dell’Egitto e i continui depistaggi. Nel dicembre 2019 sono partiti i lavori della Commissione parlamentare d’inchiesta. Proprio durante un’audizione della Commissione il duro atto d’accusa della Procura di Roma:
È finito nella ragnatela degli apparati egiziani ed è stato torturato per giorni. Dopo la sua morte almeno 4 depistaggi.
Intanto, il processo a quattro 007 egiziani è sospeso perché risultano irreperibili. Nel proseguire le indagini, la Procura del Cairo continua a mostrarsi reticente nell’aiutare l’Italia. Tra le altre cose, agli investigatori italiani viene concesso di interrogare alcuni testimoni solo per pochi minuti, dopo che gli stessi erano già stati interrogati per ore dalla polizia egiziana. Inoltre si scopre che le riprese video delle telecamere installate nella stazione della metro dove Giulio è scomparso sono state cancellate e quindi non più reperibili. Solamente mesi dopo l’inizio delle indagini i Pm egiziani ammetteranno per la prima volta che il ricercatore era stato effettivamente controllato e indagato dalla polizia. Controlli che però non avevano fatto emergere alcuna prova contro il giovane accusato di spionaggio.
Il collegamento con la liberazione
Certamente la liberazione di Zaki non è dovuta al buon cuore del generale Al-Sisi. È il risultato di una serie di pressioni diplomatiche, della politica, dell’opinione pubblica. E non va dimenticata l’insistente presenza dell’Università di Bologna.
La politica è cinica, difficile sia un mero atto di generosità del presidente egiziano: qualche contropartita c’è. Non voglio credere sia il silenzio su Giulio Regeni.
Questo il pensiero di molti, tra cui quello della ex ministra Elsa Fornero commentando la vicenda. I rettori delle Università italiane «applaudono l’epilogo atteso da anni per Patrick Zaki» ma auspicano «risultati analoghi per il caso di Giulio Regeni, ancora in attesa di una risposta chiarificatrice».
La Conferenza dei rettori delle università italiane sollecita anche una soluzione per il ricercatore dell’Università del Piemonte Orientale, Ahmadreza Djalali, trattenuto nel braccio della morte in Iran e accusato di spionaggio nonostante l’assenza di prove.