Qual è il motivo dietro il successo dell’ultimo film Netflix “La ragazza più fortunata del mondo“? Semplice: una trama enigmatica e non scontata ed una Mila Kunis sorprendente.
La trama
Il titolo può sicuramente trarre in inganno lo spettatore: aspettatevi di tutto, purché la storia di una ragazza fortunata.
Il regista Mike Barker riproduce in pellicola l’omonimo romanzo di Jessica Knoll, creando un thriller psicologico tendente al noir.
La protagonista, Tiffany (Ani) è una giovane giornalista in carriera il cui sogno è quello di firmare gli articoli del New York Times ed in più è prossima alle nozze con un ragazzo di buona famiglia, una vita apparentemente piena e soddisfatta pare, eppure non è così.
Ani ha in realtà profonde ferite, una violenza sessuale plurima subita da adolescente ed una sparatoria di cui è una delle poche sopravvissute. Maschera questi traumi rincorrendo una vita perfetta e cercando sempre di superare le aspettative degli altri, ma una voce interiore, ed un incontro dalla sua vecchia vita, la porteranno a fare i conti con il suo scomodo passato ritrovando, finalmente, la sua libertà.
Una Mila Kunis da Oscar…
Ricordate la Mila Kunis di “Amici di letto” O “Bad Moms”? Ecco, dimenticatela.
Qui non ritroverete una Mila buffa o macchiettista. Ne “La ragazza più fortunata del mondo” ritroviamo una Mila Kunis drammatica e profonda che riesce ad incarnare tutte le enigmatiche sfaccettature del suo personaggio.
Il modo in cui ricopre alla perfezione il ruolo di vera ed unica protagonista del film è magistrale, il modo delicato e professionale con cui tratta tematiche attuali ed importanti è sorprendente.
Aveva una grossa responsabilità nel ricoprire un simile personaggio eppure, direi che è stata promossa a pieni voti!
La tematiche del film tra concetti come “stupro” e “violenza psicologica”
Come già anticipato, ciò che rende questo film meritevole di salire sul podio delle uscite Netflix, è il modo in cui vengono riproposte tematiche dure ed importanti.
I “social gap”, la violenza carnale di gruppo, la paura, la vergogna, la violenza psicologica. I traumi che la protagonista si porta dentro mostrano come spesso, il nascondere il passato sotto il tappeto sia più facile che raccontarlo. Ani è una ragazza che cerca di dimenticare quanto ha subito costruendosi una vita totalmente diversa e diventando una di quel ceto sociale che tanto disprezza.
Eppure, ciò che mostra questo film è quanto alla fine, più provi a nascondere e più carichi quella bomba che ti porti dentro destinata, prima o poi, ad esplodere. Attraverso infatti continui flashback e incontri con persone appartenenti a quel passato, Ani capirà che non può più far finta di niente.
Non si parla di un film di denuncia, quanto piuttosto di un racconto. Affrontare e non reprimere.
Parlarne, aprirsi e raccontare la propria storia non solo può essere d’aiuto a tante altre che condividono le stesse ansie e le stesse paure, ma soprattutto aiuta te stessa.
Ani all’inizio si definisce come «[…] il monossido di carbonio: incolore, inodore e insapore, ma altamente tossico per me stessa» mostrando proprio quanto tenere tutto dentro stia finendo con il distruggerla.
Tant’è che proprio alla fine, quando la giovane giornalista trova il coraggio di affrontare a testa alta quanto ha subito e soprattuto di raccontarlo a tutti, il suo mondo torna nell’asse e riesce finalmente a camminare con le sue gambe con lo sguardo fiero, pronta ad accogliere tutto ciò che il mondo ha da offrirle.