Katiuscia Girolametti, in arte Katy, ieri 5 agosto ha presentato in conferenza stampa online il libro “La normalità è sopravvalutata”, edito dalla Kimerik.
Nel corso dell’incontro, avvenuto su Google Meet, tante sono state le emozioni, attraverso le sue parole abbiamo “toccato con mano” il suo amore immenso da mamma. Quell’amore viscerale ed indissolubile che si trasforma in forza, speranza, in voglia di cambiamento e rivincita. Nelle sue pagine l’autrice racconta la sua esperienza di mamma di un bambino autistico, con le difficoltà che incontra ogni giorno. Lo fa in maniera scherzosa, rompendo tutti quei pregiudizi e stereotipi che ruotano attorno alla disabilità. Dissociandoci e portandoci a riflettere anche sulle espressioni quali ‘è affetto da’, ‘malato’, ‘sofferente’; o stesso uso di nomi e aggettivi quali quelli di ‘disabile’, di persona ‘svantaggiata’ o ‘handicappata’. Così mentre questa mamma coraggio, si prepara alle mille emozioni di questo suo nuovo viaggio letterario, siamo riusciti a strapparle una breve intervista.
Ciao Katiuscia, ti ringrazio per aver accettato di rispondere alle mie domande. In che momento della tua vita, mamma di tre figli maschi, di cui uno autistico, è nato dentro di te il desiderio di scrivere il secondo libro?
«Sentivo la necessità di andare avanti e dire che fine avesse fatto quel bambino piccolo, sentivo la necessità di descrivere quali sono le difficoltà che può incontrare quello che oggi appunto, non è più un bimbo, ma un adolescente che si prepara per la società».
Ogni capitolo inizia con una strofa della canzone di Mia Martini, “Almeno tu nell’universo”. Cosa ti lega a questa grande donna?
«Non di rado ci sentiamo in balia del caos, della confusione e dell’instabilità. Per certi versi siamo attratti da questo marasma al quale la città sa dar vita così bene. Ci facciamo trasportare dalle novità, da quella frenesia che ci fa sentire sulla cresta dell’onda. La gente è “strana”, è “matta”, è “sola”, è falsa, ipocrita e incoerente. Ma forse, come se nel corso della canzone si procedesse a una progressiva immedesimazione nella “gente”, pare che – a guardare bene – sia possibile capirne le ragioni, come se ciò che ha reso “strana” e “matta” la gente non sia nient’altro che la solitudine e la mancanza di un punto fisso. Per me questa canzone è poesia e rappresenta pienamente che “la normalità è sopravvalutata”».
Una delle frasi più incisive del tuo libro, come ha detto anche la relatrice nella conferenza stampa recita: ”Il mio tempo è sempre stato prematuro come la cascola dei frutti in un albero di albicocche, che portandone troppi in un ramo li fa cadere prima, ma non sono mai stata un albero, non ho mai sentito radici”. Sei riuscita a togliere un po’ il piede dall’acceleratore nel corso degli anni? In che momento?
«Forse l’arrivo del mio terzo genito Leo mi ha un po’ rallentata, sto godendo di più la sua crescita ma sembra avere in tutto e per tutto il mio DNA perché ora è lui a correre».
Quali sono le soddisfazioni di un genitore di un ragazzo con disabilità?
«Daniele è un ragazzo che ogni giorno mi regala enormi soddisfazioni: la sua forza, la sua determinazione e la sua cocciutaggine mi rendono fiera di questo piccolo grande uomo indistruttibile».
Scrivere è un modo di mettersi a nudo, secondo te raccontarsi è un modo per abbattere pregiudizi, e far capire a tutti che la disabilità non è sinonimo di pietismo?
«Ma sai? Dipende anche molto da come si raccontano le cose e da come vengono recepite, non basta essere bravi scrittori, bisogna avere un pubblico attento e scaltro. Ci sarà sempre chi prova pietà ma quelle persone sono più indietro di chi discrimina».
di Grazia Sposito