A 6.601,98 km circa dalle nostre coste, in Yemen, si consuma un conflitto da ben cinque anni. Gli scontri interni al paese, la distruzione delle strutture sanitarie e la carenza di personale medico qualificato oltre che di medicinali e attrezzature mediche hanno contribuito al crollo del sistema sanitario. La mancanza di acqua pulita e l’insufficienza di vaccini danno ampio spazio alle epidemie infettive di diffondersi.
Medici Senza Frontiere opera sul suolo yemenita – così come in altre parti del mondo – per fornire assistenza in più di 20 strutture sanitarie.
Dal 2018 a Mocha, centro portuale sulla costa ovest dello Yemen a circa 70 km dalla front-line dove ci sono i combattimenti, è stato reso operativo un centro di emergenza trauma-chirurgico 24 ore su 24 dotato di una sala operatoria e un reparto maternità.
Giulia Maistrelli, ostetrica e operatrice umanitaria di Medici Senza Frontiere dal 2018, è partita per una missione proprio a Mocha nel luglio del 2020 rientrando in Italia solo lo scorso gennaio.
Mocha è una zona altamente militarizzata, vista la presenza di diverse fazioni, ci si sente un bersaglio?
«Più che altro, dato che esplosioni e sparatorie sono all’ordine del giorno, il pericolo principale è quello di essere colpiti come danno collaterale. Le armi a lungo raggio sono molto pericolose, il 6 novembre 2019, infatti, l’ospedale di Mocha è stato gravemente danneggiato ostacolando così la nostra capacità di fornire assistenza. L’essere di Medici Senza Frontiere è però un fattore protettivo: la comunità ha molto a cuore il nostro intervento».
Quali sono le problematiche più frequenti legate alla gravidanza?
«Il centro ha un reparto maternità nato per offrire solo chirurgia d’urgenza ma, nel tempo, si è attrezzato per offrire anche cure per casi complicati, complicanze post-aborto, post-partum quali emorragie, patologie ipertensive della gravidanza, travagli prolungati o ostruiti. Le donne spaventate dalla situazione provano a partorire in casa e, nel momento in cui incombe un’urgenza, sono troppo distanti dall’ospedale e arrivano in situazioni critiche. A volte occorrono giorni prima che si presentino al centro e dobbiamo far fronte a rotture dell’utero, complicanza peggiore da travaglio ostruito, o alla mortalità neonatale. Tra le problematiche maggiori ci sono i rimedi casalinghi provati pur di non mettersi a rischio. Ho per questo voluto incontrare le ostetriche e levatrici tradizionali del posto e organizzato quattro settimane di training di emergenze ostetriche neonatali e donato dei kit d’emergenza dotati di rianimatori neonatali per poter rendere il loro lavoro più semplice. Il loro senso del dovere è stato un fattore molto importante, spesso devono gestire situazioni difficili senza corrente elettrica, acqua potabile, farmaci e attrezzature. Generalmente in ospedale queste emergenze richiedono un’equipe di medici ampia e una batteria di medicinali da ospedale di terzo livello».
Qual è il rapporto instaurato con i medici locali?
«Il team è estremamente competente e la maggior parte di medici, ostetriche e infermieri yemeniti non sono di Mocha ma si son spostati per lavorare con Medici Senza Frontiere. È stata la prima volta nella mia carriera che ho dovuto quasi litigare con lo staff perché prendessero dei giorni di riposo o tornassero a casa. Sono persone che sentono il lavoro in ospedale come una missione di vita, hanno sete di conoscenza e voglia di aiutare il prossimo. Questo mi ha fatto crescere molto anche sul campo personale».
Come ci si muove per le attrezzature mediche, per le medicine?
«Alcuni medicinali e attrezzature sono locali, quindi si comprano in blocco. Avevamo poi un ordine internazionale ogni 6 mesi, c’era un grosso lavoro di pianificazione e organizzazione semestrale per anticipare quelle che potevano essere le esigenze della metà anno successiva. A causa del Covid ci sono stati dei ritardi nelle consegne ed è capitato di avere delle carenze, di antibiotici o vaccini per esempio, ma mai di farmaci critici».
Continuerai a lavorare con MSF?
«Sì, mi sto indirizzando verso i progetti contro la violenza sessuale: credo fortemente nei progetti che possono avere un impatto sulla qualità di vita specialmente delle donne».
di Rossella Schender
TRATTO DA MAGAZINE INFORMARE NUMERO 216
APRILE 2021