MasterChef Italia, il cooking show di Sky prodotto da Endemol Shine Italy – sempre disponibile on demand, visibile su Sky Go e in streaming su NOW – quest’anno ha accolto tra gli aspiranti chef il talento romano di Irene Volpe, una ventenne dall’anima colorata che, dopo aver collezionato un poker di vittorie è riuscita a presentare ai tre chef stellati – Bruno Barbieri, Antonino Cannavacciuolo e Giorgio Locatelli – il suo menù anticonvenzionale. Le quattro portate, senza distinzioni tra antipasto, primo, secondo e dolce, era composto da: “Cosce di Pecora”, ricotta romana fritta con “osso” di nocciole e coulis di clementine e mentuccia; “Crudo 100%”, acqua di frutti di bosco con banana, funghi, sfere di latte di cocco, dattero, massa di cacao Criollo, olio di legno di ribes nero e sale grigio Bretone; “Tripudio”, cipolla al vino rosso, za’atar e cedro candito con sfoglie all’anice e cicoria ripassata; “Pampapato”, ravioli ripieni di frutta secca, miele e uva passa, con crema di baccalà e aria all’arancia.
Durante il percorso sei cresciuta molto nel tuo approccio ai fornelli, abbiamo visto proprio un cambiamento anche nella presentazione dei piatti. Questo denota anche una crescita personale o è stato solo frutto della timidezza messa da parte?
«Io son sempre stata una persona determinata anche se poi col tempo soprattutto quando mi sono addentrata in campi in cui non avevo la sicurezza di base, come in cucina, questo aspetto l’ho messo un po’ da parte. Cucino da circa due o tre anni, quindi non mi sentivo forte però poi ho capito come muovermi, sono cresciuta sotto l’aspetto personale e ho proiettato questa crescita nella competizione e nella realizzazione dei piatti».
Flynn McGarry, Andrea Tortora e Enrico Bartolini sono alcuni dei nomi degli chef che ti hanno fatto i complimenti per i tuoi piatti, questo ti ha aiutata a migliorare?
«Come dice mio padre: “ho fatto un poker”, perché la sera della finale son salita per prima in balconata. Comunque sì, tutti gli chef nelle prove in cui sono andata bene mi hanno spronata a continuare nella sperimentazione, hanno alimentato la mia curiosità e di conseguenza mi hanno aiutata a migliorare».
La scelta del menù “non convenzionale” presentato in finale è stata presa per azzardare o per scrivere una autobiografia attraverso i piatti?
«Sapendo che queste tipologie di piatti non erano state presentate, mi sono convinta a volerle presentare. Secondo me, andare in finale e fare un menù standard perché è quello che piace agli altri è un po’ riduttivo. Credo che in questo modo si sprechi l’opportunità di potersi esprimere davanti a tre giudici e a tutta Italia. Io ho voluto con quel menù raccontare me stessa e delle emozioni, sono per questo molto contenta».
All’inizio del percorso ti sei aperta con i giudici raccontando dei disturbi alimentari cosa consiglieresti a chi si ritrova a lottare contro un disturbo alimentare?
«Quel che dico sempre è che bisogna affidarsi a chi ne sa più di noi. Non siamo invincibili e chiedere aiuto è la cosa più giusta che possiamo fare, senza sentirsi inferiori perché si chiede aiuto».
In una prova hai cucinato un piatto “Irene e papà” ricreando quasi una sorta di abbraccio tra le pietanze. Il metterti ai fornelli e cucinare per gli altri ha cambiato il tuo approccio al cibo?
«Mio padre in quella prova mi ha portato i ceci, alimento che è sempre stato un amico; ho scelto di accompagnarli poi al piccione, anche se è un qualcosa che a me non piace, poiché tendo a non mangiare carne. Quel piatto l’ho completato poi con alimenti che abbiamo in comune scegliendo il cocco, l’ananas e lo yogurt. Ho sempre cucinato per gli altri, la mia indole mi porta – anche per riflesso del mio problema – a prendermi cura degli altri a livello alimentare tralasciando quel che dovrei fare per me e questo non è sempre positivo. Durante il percorso a MasterChef ho riscoperto dei sapori perché ero costretta ad assaggiare tutto. Infatti il piatto Crudo della finale l’ho ideato con un cucchiaio, perché un solo assaggio doveva racchiudere tutte le emozioni».
La cucina di MasterChef ormai è solo un bellissimo ricordo, per il futuro verso cosa sei proiettata?
«Siamo abituati a una società che ha bisogno di uno schema ben preciso che scandisce ogni passaggio della nostra vita per questa necessità di collocarsi da qualche parte e di definirsi. Io son del parere che se si pensa sempre a quel che si vuol diventare si perde di vista quel che si è e che si sta diventando in questo momento. Il guardare troppo al futuro può diventare un’arma a doppio taglio perché si cerca in qualsiasi modo di essere all’altezza di una qualche aspettativa posta stesso da noi o magari da chi ci circonda. Sembra difficile quindi poi cambiare la rotta, perché anche a vent’anni è complicato accettare di avere un’altra passione che comporta tutta una serie di cambiamenti. Io voglio vivere di quello che mi piace, sto continuando a studiare e cerco di mettere su carta quella che è la mia filosofia. Se devo dare una risposta concreta riguardante un progetto futuro posso dire che voglio creare una linea di lievitati per le festività natalizie».
di Rossella Schender