Nella giornata di oggi, martedì 9 maggio, è stata presentata per la prima volta in Italia una causa civile per “danni ambientali” volta a condannare l’operato del leader dell’industria energetica italiana, Eni.
A presentare l’accusa sono Greenpeace Italia, ReCommon e dodici privati cittadini italiani, che chiederanno al Tribunale di Roma «l’accertamento del danno e della violazione dei loro diritti umani alla vita, alla salute e a una vita familiare indisturbata».
Secondo la parte d’accusa, l’operato di Eni (e insieme ad esso si pongono sotto gli occhi della giustizia le azioni del ministero dell’Economia e delle Finanze e della Cassa depositi e prestiti, entrambi azionisti della società) sarebbe in netta violazione dell’Accordo di Parigi (accordo globale tra gli Stati membri della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), riguardo alla riduzione di emissione di gas serra e alla finanza), ratificato anche dall’Italia.
Secondo le due associazioni ambientaliste, «l’attuale strategia di decarbonizzazione di Eni è palesemente in violazione con gli impegni presi in sede internazionale dal governo italiano e dalla stessa società». Ed esse ritengono «inaccettabile» che Eni, anche a fronte degli extra profitti record realizzati nel 2022 in piena crisi energetica, «continui a investire nell’espansione del suo business fossile, a danno del clima e delle comunità locali che in tutto il mondo subiscono gli impatti del riscaldamento globale».
La chiamata in giudizio è il primo esempio italiano di climate litigation, in cui un gruppo di cittadini o di associazioni fa causa a una società di diritto privato.
I contenziosi climatici stanno diventando un fenomeno sempre più rilevante a livello mondiale. Le stime di Greenpeace parlano di oltre 2mila azioni legali intentate dal 2015 ad oggi. Una di quelle che hanno ricevuto più eco mediatica è senz’altro l’azione legale promossa in Olanda contro Shell da Friends of the Earth, Greenpeace e oltre 17mila cittadini.
Nel maggio 2021, un tribunale dei Paesi Bassi ha stabilito – in primo grado – che l’azienda petrolifera britannica è responsabile di aver danneggiato il clima del pianeta e che, per questo, deve impegnarsi concretamente per ridurre le emissioni e rivedere la propria strategia industriale.