È giusto ritornare, dopo settimane dall’ultimo articolo, sull’attore Kevin Spacey assolto dalle accuse di reati sessuali.
È possibile dichiarare allora che dell’amor libero è stato venduto a poco prezzo per bigottismo; questo però è costato all’attore non poco. Dall’uscita come attore protagonista nel ruolo di Frank Underwood in House of Cards. Il clamore attorno alla serie sarebbe continuato probabilmente fino alla sua conclusione naturale se nel 2017, in seguito all’ondata degli scandali #MeToo, non fossero emerse anche accuse nei confronti di Kevin Spacey: diversi giovani uomini hanno denunciato che l’attore li avesse molestati quando erano in età molto giovane. Netflix e la casa di produzione della serie decisero di terminare il proprio rapporto con Spacey.
Le accuse sono cadute, ma ormai la nomea del grande attore è rovinata. Spacey di anni 64, compiuti proprio nel giorno del verdetto, ha sempre negato le accuse, definendole «una follia» e una «pugnalata alle spalle».
Il verdetto in tribunale per Kevin Spacey
Libero in ultimo dal timore d’una condanna che avrebbe precipitato definitivamente nel baratro sia la sua immagine di uomo, sia il futuro di un percorso artistico punteggiato d’interpretazioni leggendarie, di trionfi globali costruiti sui set del grande cinema, sulle scene di produzioni di serie televisive come House of Cards, sulle tavole di teatri prestigiosi quali l’Old Vic di Londra, di cui in passato è stato direttore. All’uscita dal tribunale l’attore si è detto riconoscente per l’epilogo dell’odissea, aggiungendo tuttavia di accogliere il verdetto odierno «con umiltà»: conscio d’avere fatto errori, seppur negando d’aver mai commesso reati o di essere «un mostro» e un criminale.
Un’immagine infamante dalla quale Spacey, assistito dalle arti forensi di Gibbs, si è difeso in tutti i modi. Chiamando a testimoniare in videocollegamento in suo favore amici famosi – come Elton John, il di lui marito David Furnish e altri – o ancora commuovendosi alla declamazione da parte dell’avvocato di una lettera collettiva firmata da una decina di celebrità pronte a giurare sulla sua buona fede. E a cui ha risposto parlando di «bugie», o al massimo di «equivoci»: non senza ammettere di aver fatto uso di alcolici e stupefacenti o di essere un individuo «promiscuo», sessualmente spregiudicato, incline «al flirt», ma solo nell’ambito di corteggiamenti e interazioni “consensuali“. Comportamenti forse discutibili, talora. E tuttavia non crimini, come la giuria di Londra ha messo infine oggi nero su bianco.