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Joan Mirò, il linguaggio dei segni

Redazione Informare 01/11/2019
Updated 2019/10/31 at 1:33 PM
5 Minuti per la lettura

Un viaggio sulla scia dei segni, delle illusioni e, a dirla tutta, sulla scia della fervida immaginazione di un grande artista: Joan Mirò.

Mirò ci presenta il suo mondo onirico, fantastico, quasi febbrile, fatto di linee, di collage e di calligrafia, attraverso il quale l’artista ci invita a fermarci e a riflettere in questo mondo che ormai ha perso l’abitudine di assaporare fin in fondo la purezza e l’istantaneità di un gesto, un segno appunto.
Questo mondo ci viene presentato al PAN Palazzo delle Arti Napoli, con l’esposizione dal titolo “Joan Mirò. Il linguaggio dei segni”, che comprende un percorso di 80 opere, curato da Robert Lubar Messeri, Professore di storia dell’arte all’Institute of Fine Arts della New York University, sotto la guida di Francesca Villanti, direttore scientifico del C.O.R (Creare Organizzare Realizzare).

Le 80 opere esposte coprono il lungo arco della produzione artistica di Mirò, dal 1924 al 1981: più di sei decenni di attività creativa in cui l’artista catalano sviluppa un linguaggio rivoluzionario che trasforma l’arte del XX secolo.

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Attraverso l’arte, Mirò esplora il linguaggio dei segni, il rapporto tra le immagini e il loro significato. Inizia a ridurre gli oggetti a semplici sagome e a elementi essenziali, a pensare alla superficie pittorica come a uno spazio destinato a segni e iscrizioni.
Il segno diventa sostituto di qualcosa che non è più fisicamente presente e nel perfezionare il suo vocabolario visivo, l’artista sviluppa uno stile esclusivo, astratto, a tratti difficile, che modifica il corso dell’arte moderna.
Il professor Robert Lubar Messeri, che segue le impronte di Joan Mirò da anni, ha individuato nove sezioni per spiegare i punti nodali dell’artista spagnolo:

«Il Linguaggio dei Segni. A partire dalla Ballerina del 1924, viene messo in evidenza come Mirò sfrutta le molteplici funzioni della linea come contorno, come scrittura e come indicatore dello spazio, consentendo scambi produttivi di significato.
La Figura nella Rappresentazione. Dall’inizio degli anni Venti, la figura diventa il soggetto prediletto delle indagini di Mirò.
La Figura nello Sfondo. L’artista dà vita a un universo di uccelli volteggianti, corpi astrali, figure gesticolanti e creature fantastiche che sembrano muoversi senza sforzo sulla superficie della tela. A volte la figura è nel processo stesso della creazione, come evocata dai segni e dalle macchie presenti sulla tela grezza.
Collage e L’Oggetto. Già nel 1916 incorpora un frammento del quotidiano di Barcellona “La Publicidad” in uno dei suoi dipinti. Da quel momento tornerà al collage nel corso della sua lunga carriera.
I Dipinti Selvaggi. Sono l’espressione di rabbia verso un mondo impazzito, travolto dalla follia e dall’odio che porteranno inevitabilmente alla guerra.
L’Elasticità del Segno. Mirò svuota finalmente i segni di riferimento, spogliando il linguaggio fino ai suoi componenti primari. Il segno e il gesto grafico hanno la precedenza sul significato.
Calligrafia e Astrazione Gestuale. La calligrafia giapponese e il successo dell’Action Painting in America e in Europa hanno influenzato le opere di Mirò.
La Materialità del Segno. Durante la primavera del 1973, Mirò, collaborando con il tessitore Josep Royo, realizza una serie di opere a metà strada tra pittura e scultura definite Sobreteixim dal critico Alexandre Cirici i Pellicer. Nelle trame di juta, lana, cotone, canapa che Royo prepara, Mirò incorpora oggetti comuni.
Le Tele Bruciate e la Morte del Segno. Mirò esegue, sempre con Royo, cinque “Tele bruciate”. Dopo aver tagliato le superfici con un coltello, l’artista applica masse di pigmento su varie aree della tela, usando una torcia per stendere la vernice. Mirò e Royo bruciano con cura le varie sezioni del supporto, rendendo visibile la struttura del telaio carbonizzata. Poi aggiunge altra vernice e il processo ricomincia».

«Un quadro – diceva Mirò – non finisce mai, non si comincia nemmeno. un quadro è come il vento: qualcosa che cammina sempre senza posa».
In sintesi, l’artista auspicava che le sue opere potessero essere un seme pronto a germogliare tra le mani delle future generazioni.

di Flavia Trombetta

TRATTO DA MAGAZINE INFORMARE N°199
NOVEMBRE 2019

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