I Magazzini Fotografici, spazio indipendente dedicato alla fotografia, ospitano dal 20 gennaio al 3 aprile un focus sul fotografo napoletano Luciano D’Alessandro, tra i più famosi fotogiornalisti italiani del Novecento. L’obiettivo principale è quello di “aprire un faro su un archivio”, in larga parte ancora presente alla nostra generazione, presentando al pubblico le più importanti pubblicazioni del fotografo insieme a scatti inediti. Yvonne De Rosa, fondatrice e direttrice artistica dei Magazzini, risponde ad alcune domande sull’evento.
In un commento ad una propria fotografia, D’Alessandro dice: “Da allora ho fatto sempre la stessa foto, il tentativo di fissare in uno scatto la solitudine profonda dell’uomo”. Come pensi si sia espresso questo obiettivo nel tempo?
«La foto a cui si fa riferimento è la foto di un uomo su una sedia che si regge la testa, è del 1956 e ritrae un disoccupato. È una foto molto iconica che ha decisamente significato molto per questo autore ed in qualche modo credo che abbia davvero tenuto quella come punto di riferimento per molti dei suoi lavori».
Quanto è stato importante il contributo iconografico di Luciano D’Alessandro nel percorso di chiusura degli istituti psichiatrici e nello svilupparsi della legge Basaglia?
«Assolutamente fondamentale. Si può citare anche Sergio Piro, direttore dell’ospedale Materdomini, che ha aperto la possibilità a Luciano D’Alessandro di fare questa ricerca.
Con quest’ultimo c’è stata un’importante collaborazione, nata prima da uno scontro e poi culminata in un’amicizia durata tutta la vita. Sergio Piro, poi, ha scritto per lui la presentazione del libro “Gli esclusi”, di cui è presente una copia originale a Magazzini, in mostra insieme all’omonimo documentario».
Qual è l’obiettivo che avete voluto suscitare unendo opere ormai celebri come “Gli esclusi” e i fotogrammi inediti della vita privata dell’artista?
«A Magazzini Fotografici c’è un focus che raccoglie testimonianze di un archivio molto importante, di un nostro patrimonio artistico ma anche della nostra memoria. In questo archivio c’è la nostra storia e la storia di chi lo ha creato: il terremoto, Napoli, “Dentro le case”, “Dentro il lavoro”, “Gli esclusi”, gli affetti, gli amici e soprattutto tante tantissime splendide pubblicazioni».
Perché avete deciso di intitolare la mostra “Focus su Luciano D’Alessandro. Il tempo sospeso”?
«La mia scelta di utilizzare il termine “focus” deriva dalla mia volontà di puntare un faro sull’archivio di Alessandro. In quanto spazio indipendente, Magazzini inizia a fare ricerca su un artista di cui spera sarà fatta una vera e propria retrospettiva, che necessita di un’istituzione.
In questa mostra ci sono al 90% stampe eseguite dallo stesso Luciano che rendono l’esperienza unica.
Oltre alle pubblicazioni già citate in precedenza si aggiunge l’arricchimento di parte di un faldone inedito. In un’altra intervista parli dell’importanza di “aprire e vivere un archivio”».
Che valore pensi abbia il potenziale inesplorato del nostro patrimonio artistico e culturale?
«Immenso o zero. Avere un archivio può significare trovare un tesoro oppure no. Il valore dipende da quello che ne facciamo di un archivio: se lo usiamo e lo viviamo esiste, se non lo usiamo lo perdiamo. Serve qualcuno che lo tenga in vita. Altrimenti è carta inerte».