Raccontare di Pina Bausch in una pagina è semplicemente impresa impossibile. L’articolo proposto è il frutto di un dialogo avuto con Cristiana Morganti, dal 1993 al 2014 danzatrice solista nel Tanztheater di Wuppertal. Parlare con lei è stato come un primo approccio a quello che concerne il teatrodanza, a ciò che è stata ed è Pina Bausch.
L’intento è stato quello di tracciare a grandi linee una visione della sua arte. Negli spettacoli della danzatrice e coreografa tedesca, si può sempre trovare qualcosa che all’inizio fatichi a realizzare. E va bene così. Riguardandola – oppure in questo caso – parlando con persone che hanno lavorato e condiviso tanto con lei, si aprono pian piano universi ancora inesplorati.
Teatrodanza
Con la sua compagnia Tanztheater Wuppertal, la danza diventò qualcosa di altro: istinto, teatro, parola e azione, magari sotto la pioggia che cade inaspettata sul palco. L’intento era quello di portare in scena degli esseri umani con i loro stati d’animo, per parlare di noi attraverso la danza. A Cristiana Morganti ho proposto di iniziare a capire su quali basi è cominciata la storia del teatrodanza: “Il teatrodanza ha origine nella scuola della danza espressionista tedesca, quella del maestro e teorico Rudolf Von Laban basata all’inizio anche sullo studio dei movimenti quotidiani, e che si è tradotta poi in danza nella ricerca di un movimento motivato, che nasca da una emozione, da una intenzione vera, semplice e onesta. Non c’è l’idea del movimento decorativo. Il motore del movimento è sempre motivato da qualcosa”.
Uno scenario inedito
Questa la chiave di volta del nostro discorso, passo importante per avvicinarci all’approccio di Pina Bausch. Riuscire ad esprimere quello che riguarda gli esseri umani, il nostro vissuto, le nostre esperienze, le sensazioni più profonde, anche quelle indescrivibili, traducendole sulla scena: “Pina Bausch, nei primi anni 70’, creava i suoi spettacoli come tutti i coreografi; creava i movimenti su una partitura musicale. Ricordo a proposito Ifigenia in Tauride, Orfeo e Euridice e Le Sacre du Printemps. Col tempo, si rese conto che non riusciva ad esprimere con il solo movimento quello che le premeva e che le interessava, e cioè di mostrare qualcosa sugli esseri umani, sui loro rapporti e sentimenti. Da qui la necessità di dare dei temi ai danzatori stessi, facendo loro delle domande, dandogli la possibilità di esprimersi e rispondere anche raccontando delle storie, mettendo in scena delle situazioni. Non solo danzando e creando movimenti. Da quel momento, si è aperto uno scenario inedito dove Pina ha iniziato a lavorare con un misto di momenti danzati a momenti puramente teatrali. La danza di Pina non è concettuale, ma è il tentativo di esprimere delle sensazioni molto profonde, che accomunano tutti gli esseri umani, in maniera precisa e attenta ma non privata o morbosa. E in questo modo rendendola universale.”
L’immedesimazione con il pubblico
Sulla scena dell’abbraccio in Cafè Müller (1978, musiche di Henry Purcell), si potrebbero azzardare diverse interpretazioni. Andate a vedere su Internet questo spettacolo. Interpretazioni diverse che Pina Bausch stessa auspicava, lontane però da un manieristico approccio pedagogico.
I “danzattori”, dunque, chiamati alla creazione degli Stücke attraverso un rapporto costante con Pina Bausch: “Siccome in alcuni spettacoli della Bausch, soprattutto negli 80’, c’era poca danza in scena, si incorreva nel malinteso che sul palco ci fossero degli attori o dei performers. Lei però ha esclusivamente lavorato con dei danzatori che avessero alle spalle una grande preparazione tecnica. Pina Bausch portava in scena degli interpreti con delle forti personalità, dei danzatori che non avevano a volte dei corpi particolarmente atletici, ma che avevano in compenso una presenza scenica naturale. Tendeva ad individualizzare i suoi danzatori, non li uniformava. C’era l’idea di mostrare l’enorme ventaglio dei loro caratteri, mantenendo la loro unicità. Non c’era il “corpo di ballo”. Questo produceva nel pubblico un effetto di immedesimazione molto efficace. I danzatori erano loro stessi in scena, ma allo stesso tempo diventavano dei personaggi con cui entrare in contatto diretto. Ed ecco che col tempo il pubblico sviluppava quasi un rapporto affettivo con gli interpreti”.
Il lavoro con gli interpreti
Ma cosa fu Pina Bausch per la danzatrice Cristiana Morganti? Come è nato il suo spettacolo, la conferenza danzata “Moving with Pina” creato nel 2010?: “In Moving with Pina racconto la mia esperienza con Pina Bausch, ma soprattutto racconto come lavorava Pina Bausch. Di fronte alla richiesta di creare un omaggio, ho avuto l’intuizione di raccontare veramente come noi danzatori lavoravamo con lei in sala prove. Al tempo della sua dipartita nel 2009 avevo come l’impressione che tutti parlassero, anzi “straparlassero”, dicendo un sacco di cose inesatte sul modo di lavorare di Pina Bausch…”
Tipo?: “Che le prove con lei erano una sorta di psicodramma, che eravamo una specie di setta, dando l’impressione che Pina fosse una specie di guru mistico alternativo, quando invece Pina era innanzitutto una coreografa e una lavoratrice pazzesca. Un artista appassionata e instancabile che passava le ore in sala prove fianco a fianco con i suoi danzatori, guardandoli con gli occhi di qualcuno che conosce profondamente la danza e il movimento, essendo stata lei in primis una straordinaria danzatrice. Dunque in “Moving with Pina” ho cercato solo di raccontare la verità. Perché credo che si arrivi a comprendere meglio la genialità di Pina proprio scoprendo come lavorava. Per me creare questo spettacolo è stata come una reazione alla sua scomparsa. E la preparazione di questa conferenza danzata è stato un processo molto intimo, personale, quasi segreto, riguardando i miei appunti e i diari di quando lavoravo con Pina. Questa creazione mi ha molto aiutata a capire più profondamente alcuni dei suoi insegnamenti e ad elaborare la sua perdita”.
La foto in copertina è di Donata Wenders