Connivenza: tacito consenso o tolleranza nei confronti di azione colpevole. L’atteggiamento passivo di un singolo che diventa quello di molti, per poi giungere ad un punto di non ritorno. Ad un fenomeno così dilatato che diventa quasi inafferrabile. Saccheggio, deportazione, traffico illecito: a partire dagli anni ’80 è la quotidianità, che aumenta sempre di più fino all’apice degli anni ‘90/2000. Questo è il punto di partenza di un fenomeno che negli anni ha generato uno dei più importanti business del mercato illecito, diffusosi a macchia d’olio in tutto il Paese. Dall’esperienza come Direttore del Parco archeologico di Pompei, il Professor Massimo Osanna è l’attuale Direttore Generale dei Musei Italiani.
A partire dall’intuizione di Civita Giuliana e al successivo ritrovamento, abbiamo fatto un excursus sull’evoluzione del fenomeno degli scavi abusivi, che ancora scotta nella nostra penisola, per poi passare alla situazione attuale finanziamenti per la cultura italiana: la metà di quello che servirebbe per una gestione ottimale.
Lei è stato il primo ad attuare un protocollo d’intesa con la Procura. Che situazione c’era a Pompei?
«L’allarme è scattato grazie ai Carabinieri e alla Procura di Torre Annunziata che ci hanno segnalato delle criticità nel territorio. Abbiamo avuto un controllo capillare della zona del Parco archeologico, ma il problema è che c’erano tante aree intorno – proprietà private – in cui il controllo non poteva essere diretto. Così abbiamo deciso, grazie anche al consiglio di amministrazione del Comune, di stanziare nel bilancio ordinario di Pompei una somma da destinare alla lotta contro gli scavi illeciti. Da lì abbiamo iniziato l’avventura di Civita Giuliana e lo scavo è stato fondamentale perché non solo abbiamo salvato dei reperti, ma abbiamo trovato prove significative delle attività in corso che hanno portato ad un processo e una condanna in primo grado di padre e figlio “Izzo”: i proprietari dell’area».
Qual è stata l’intuizione che le ha fatto pensare che la collaborazione con la giustizia poteva fare la differenza?
«La mia politica è sempre stata quella di fare rete, soprattutto tra istituzioni che operano nello stesso territorio. A partire dai Carabinieri, le Procure, fino alle Università e i centri di ricerca: fare rete è l’unica soluzione per riuscire a risolvere le criticità. Molto importante è anche il rapporto con i privati e le associazioni. Un grande aiuto può arrivare dagli Archeoclub, dalle associazioni locali che sono degli ottimi conoscitori dei territori e possono essere portatori di tante necessità ed anche soluzione dei problemi. Credo proprio che l’unione faccia la forza».
Da Pompei alla Direzione Generale dei Musei: cosa è cambiato? In che modo ora sta agendo per il contrasto di questi fenomeni?
«Quello che ho fatto a Pompei, sto cercando di applicarlo ovunque io vada. È molto importante che le esperienze positive fatte, vengano esportate anche altrove. Non è un caso che, a partire da Pompei ed Ercolano, sono stati fatti accordi con i Tribunali per fare esperienze con i detenuti (con reati minori) all’interno dei luoghi della cultura, favorendo il reinserimento sociale. È stato attuato questo protocollo, firmato qualche anno fa dai ministri Cartabia e Franceschini tra Ministero della Giustizia e quello della Cultura: è stato molto significativo. Anche qui a Roma, in questo ruolo di Coordinamento di tutto il nostro Sistema Museale nazionale – che è complessissimo e presenta oltre 450 luoghi della cultura in tutta la penisola – la mia azione è quella di creare connessione tra i Musei e sollecitare i Direttori ad essere sempre più presenti sul territorio sotto tutti i punti di vista, in particolar modo per la salvaguardia del nostro patrimonio».
Dove è più diffuso il fenomeno degli scavi abusivi?
«È più presente nelle zone dove ci sono grandi realtà archeologiche. Tutta l’area dell’Etruria – ricordiamo il saccheggio di Cerveteri – è continuamente preda di scavi abusivi. Le aree in cui ci sono necropoli quindi oltre l’Etruria, ricchissima è la Puglia. Ancora: l’area vesuviana, principalmente per lo stato di conservazione incredibile delle aree. L’attenzione deve esserci in tutta Italia, ma in particolare in Puglia, Etruria e Campania».
Qual è la situazione attuale?
«Il fenomeno c’è e non possiamo dire che sia debellato. Sono un po’ più ottimista perché rispetto all’ampiezza che si era raggiunta negli anni ’90/2000, grazie all’attenzione incredibile che è stata data dagli organi di stampa, dalle azioni dello Stato declinate nelle varie strutture, il fenomeno si è attutito e tutti sanno che è molto rischioso acquisire delle opere che vengono da mercati clandestini. In precedenza, molte collezioni private, ma soprattutto Musei americani e anche tedeschi, hanno acquisito opere illegalmente: alcuni erano inconsapevoli, altri erano consapevoli, ma hanno chiuso un occhio perché c’era meno sensibilità nei confronti di questo fenomeno disastroso. Prima c’era connivenza e questo ha incrementato l’indotto malavitoso. Ad oggi, con le attività delle Procure italiane e straniere, tutti i Musei che hanno materiale scottante, stanno restituendo. Il problema sono i privati: alcune opere che riescono ad essere esportate e a finire in collezioni private diventano difficilissime da tracciare».
Qual è la situazione dei finanziamenti per i musei italiani?
«Sicuramente negli ultimi anni, con il Ministro Franceschini, le risorse per la cultura sono aumentate, ma non posso dire che bastino. Il nostro è un patrimonio straordinario e straordinariamente diffuso e mi auguro che, con il nuovo governo, si mantenga almeno questo standard minimo o si arrivi ad un incremento: è davvero fondamentale. Quello che manca nei nostri bilanci dello Stato sono delle risorse cospicue da destinare in maniera capillare alla manutenzione programmata: questo è molto importante per i Parchi Archeologici e per i grandi contenitori museali come palazzi, castelli, giardini storici. Credo che, solo per la manutenzione programmata, ci vorrebbero almeno 150 milioni all’anno. Quello che adesso si sta cercando di fare è mandare avanti il sistema senza raggiungere la criticità. Quello per cui sollecito sempre è usare tutti gli strumenti che il codice degli appalti permette di usare, ad esempio il partenariato pubblico-privato: molti luoghi della cultura devono essere gestiti anche in collaborazione con i privati, non è uno scandalo perché quest’ultimi, oltre che risorse, possono portare anche creatività e nuove idee. Bisogna sempre più aprirsi non solo facendo rete fra istituzioni pubbliche, ma anche ad una collaborazione con partner privati. Ad oggi è chiaro che non siamo in una situazione ottimale».
Lei dice che l’ideale, almeno per la manutenzione programmata nei luoghi della cultura, è di 150 milioni di euro all’anno. Ad oggi a quanto ammontano le risorse?
«I finanziamenti di base arrivano, grosso modo, a 50 milioni di euro. Poi c’è un capitolo dove arriva il 20% dei biglietti dei Musei, che poi viene redistribuito, e con questo riusciamo a fare anche altre attività. Ovviamente questo 20% è variabile. Nel 2019 abbiamo avuto dei risultati ottimi: il Colosseo che fa 60 milioni, a noi dava 12 milioni. Pompei ne dava 8, gli Uffizi altri 8 quindi raggiungevamo un gruzzolo significativo. Questo dato però è andato in forte decrescita durante la pandemia, ma si è riusciti a rattoppare grazie ai ristori del governo. In prospettiva spero che quest’anno ritornino i numeri del 2019 per riuscire ad avere delle risorse significative e raggiungere quella cifra necessaria. Per adesso siamo sempre arrivati alla metà di quello che ci servirebbe per una gestione ottimale».
I mancati finanziamenti, agevolano i fenomeni illeciti?
«Più che i finanziamenti, spesso il problema, soprattutto per le sovrintendenze, è avere il personale adeguato. È noto che abbiamo una crisi di organico che deriva dal turn over e alla quale solo adesso il Ministero sta facendo fronte: a breve arriveranno 1053 addetti alla vigilanza e sono già arrivati circa 200 addetti per il personale amministrativo. Ora ci vogliono concorsi per nuovi architetti, archeologi, per chi può presidiare il territorio.
Oltre che la mancanza di personale, c’è una mancanza di sinergie: spesso ci si radica nei territori, non coinvolgendo tutte le istituzioni che possono collaborare tra di loro. Questa non è la soluzione: sicuramente bisogna lavorare per avere più risorse, ma è anche vero che abbiamo il dovere di introdurre tutte le energie che possiamo. Dunque, bisogna parlare oltre che delle risorse, anche del problema dell’organizzazione e della carenza di personale che deve essere incrementato per avere dei territori maggiormente presidiati. Quello che io condanno è l’atteggiamento passivo di chi pensa che se non si hanno i soldi, non si può fare niente».
TRATTO DA MAGAZINE INFORMARE
N°233 – SETTEMBRE 2022