Teresa Saponangelo

INTERVISTA. Saponangelo sullo spettacolo: “La rinascita del cinema parte dal teatro”

Luisa Del Prete 10/11/2022
Updated 2022/11/10 at 11:09 PM
9 Minuti per la lettura

La maggior parte di noi ha sicuramente visto l’ultimo film di Paolo Sorrentino “È stata la mano di Dio” e si è immerso in un personaggio iconico, semplice: la madre, Maria. Con un velo di ironia, con la sua leggerezza e la sua grande forza, ha conquistato il pubblico del grande schermo in Italia e nel mondo. Teresa Saponangelo, attraverso il personaggio di Maria, è riuscita a trasmettere l’essenza di un personaggio che, nonostante il grande dolore e le difficoltà, non abbandona mai il sorriso e la vivacità che la contraddistingue. Ma tanti altri ruoli hanno segnato la carriera di una delle più importanti attrici, sia di cinema che di teatro, italiane. Vincitrice di numerosi premi da David di Donatello a Premi UBU, la Saponangelo continua, con la stessa passione di sempre, il “mestiere dell’attore”: rifiutando l’omologazione e portando sempre in scena storie che avessero qualcosa da raccontare.

“È stata la mano di Dio”: uno dei tuoi ultimi film in cui interpreti Maria, la madre del protagonista. Cosa ti ha preso di più di questo personaggio?

«Il fatto che pur essendo un personaggio apparentemente classico, aveva una qualità diversa: una capacità di reagire, un’ironia e una vivacità che andava oltre il dolore e le difficoltà del rapporto, attraverso il suo modo di fare scherzi. Questo è ciò che ha conquistato il pubblico e non immaginavo lo facesse così tanto: per me è stata una sorpresa la reazione a questo lavoro e ad un personaggio così scritto».

Spesso leggiamo che i film sono “tratti da una storia vera”. In questo caso, la storia vera era quella del regista stesso: Paolo Sorrentino. Quanto è pesato interpretare questo personaggio in questa circostanza?

«C’è un senso di responsabilità grande, però anche un’incoscienza nel tratteggiare questo ruolo. Se il pensiero e la preoccupazione sono troppo presenti, non ti senti neanche libero di sbagliare e di percorrere una strada tua. Io ho sentito tanta responsabilità, ma anche grande libertà. Sicuramente rispetto, ma anche fantasia nel giocare questo ruolo. La scrittura di partenza di Paolo è molto precisa, quindi già seguirla significa colorare il ruolo e dargli delle caratteristiche precise e forti. Poi, metterci dentro delle cose proprie, una propria vitalità, è importante. La cosa che Paolo mi ha detto, prima di qualsiasi altra, è stata: “mettici dentro il sorriso e sarai sulla strada giusta”. Al di là della responsabilità, io mi sentivo protetta da un desiderio ben preciso del regista».

Una carriera costellata di successi, dal cinema al teatro, tra Premi UBU e David di Donatello. Per te che li vivi entrambi, quanto è davvero tangibile la differenza tra questi due mondi?

«Un tempo c’era più divisione, erano davvero due mondi separati. Oggi, fortunatamente, c’è una comunicazione molto più evidente sia perché è cambiato il mondo del lavoro, quindi è difficile vivere solo di Teatro e sia perché il Cinema ha avuto bisogno di attori teatrali. Attori di qualità e di un certo spessore, con una certa preparazione perché si è impoverito negli anni: si sono impoverite le storie e si è impoverita l’esigenza di attori che arrivassero al pubblico con forza, con la capacità di dire il testo in una certa maniera, personalità che più imprimevano il segno. Come la scrittura di Paolo, di Capuano: dietro una scrittura importante, c’è bisogno di attori che capiscano e comprendano. La rinascita del cinema riparte dal recupero di attori e storie importanti. Riparte dal teatro».

Come riesci a muoverti tra i due mondi senza la perdita della singolarità di ognuno?

«Io penso che un attore di qualità misurandosi, a seconda del mezzo, riesce in entrambi i casi. Non si riesce è lì dove non c’è una buona base. Io, come scelta, non abbandono il teatro perché per me è una palestra importantissima. Poi credo che il fatto di aver iniziato contemporaneamente con entrambi, sia teatro che cinema, non mi si è presentato come problema il dovermi abituare ad un mezzo diverso. Però sento il bisogno di fare almeno una volta all’anno teatro perché quella è la palestra, non si prescinde da lì».

Qual è il personaggio che più ti ha segnata in questi anni?

«Tanti e soprattutto tante esperienze belle. Per il cinema non posso non ricordare “Tutto l’amore che c’è” di Sergio Rubini, “Polvere di Napoli” di Antonio Capuano e “Il bene mio” di Pippo Mezzapesa. Per il teatro sicuramente “Il Tartufo” di Toni Servillo e i “10 comandamenti” di Mario Martone. Tante sono le esperienze ed è proprio bello il fatto che ti viene data la possibilità di sperimentare e che ci sia una continuità sul lavoro: quella è la ricchezza di questo mestiere. Come un atleta che se perde l’allenamento, perde il tono muscolare, così per l’attore, c’è bisogno che ci sia una continuità perché si possa mantenere un livello di qualità alto».

In un mondo in cui è sempre più reale la crisi ed è tangibile che ogni essere umano debba mobilitarsi affinché possano realmente cambiare le cose. In che modo, mezzi di comunicazione così potenti come il teatro, ma soprattutto il cinema (che tanto ci ha accompagnati in questi anni di pandemia) possono aiutare per sensibilizzare alla tematica?

«Raccontando storie che raccontano il mondo in cui siamo. Purtroppo, il difetto del nostro cinema è che spesso non racconta niente: non racconta il momento storico in cui siamo, quali sono le problematiche del nostro Paese, quali sono le risorse. Racconta di storie sterili: il cinema dovrebbe avere questo valore qui che invece spesso si perde. Si è perso negli anni: tutte queste commediole un po’ insulse che si somigliano, non raccontano niente di come procede, della situazione politica in cui siamo. Il cinema non deve essere soltanto manifesto politico, però comunque deve aprire delle riflessioni, degli scenari. Non può essere fine a sé stesso, come se uno raccontasse una barzelletta. Così come spesso accade attraverso queste commedie identiche l’una all’altra, spesso con gli stessi cast, per cui uno le confonde anche. Questo non arricchisce».

Quali sono i suoi progetti futuri?

«Sto lavorando a tre film. Ai primi di settembre ho finito un film spagnolo con due attori Javier Gutiérrez e Luis Zahera per la regia di Pau Durà. Sto lavorando alla storia di Luca Trapanese con il titolo “È nata per te” per la regia di Fabio Mollo e ho da poco iniziato il film con la regia di Caterina Carone in cui i protagonisti siamo io e Christian De Sica in una versione drammatica. C’è tanto lavoro e sono tutti bei progetti, diversi tra loro, con tanto da dire e da raccontare di importante».

E il Teatro?

«Con il Teatro riprenderemo il “Tartufo” di Molière l’anno prossimo con la regia di Bellorini e ci ritroveremo al Teatro Mercadante a Napoli».

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