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INTERVISTA. Salvatore Giuffrida su ‘La Mano Nera’: “Le vittime vedono il loro usurario come un benefattore”

Simone Cerciello 12/08/2022
Updated 2022/08/12 at 4:50 PM
5 Minuti per la lettura

L’usura è soprattutto un fenomeno sociale, nonché lesivo della libertà dell’individuo che ne è vittima. Il libro “La Mano Nera”, scritto a quattro mani da Luigi Ciatti, presidente dell’Ambulatorio Antiusura di Roma, e da Salvatore Giuffrida, giornalista di Repubblica, racconta le vicende di tutte quelle persone che hanno deciso di opporsi ai propri estorsori. A tal proposito abbiamo dunque deciso di confrontarci con “la penna” di Repubblica, per scoprire tutte le sfumature di un fenomeno che il nostro Paese fa ancora troppa fatica ad arginare.

Ci sono i presupposti per gli scenari già vissuti dopo la crisi economica del 2008?

«I presupposti c’erano già e si sono verificati, perché con il covid c’è stato un aggravio di tutte le situazioni di precariato che già stavano impoverendo il ceto medio italiano. Questa pandemia, unita al caro energia e alla guerra in Ucraina, hanno esposto al rischio di sovraindebitamento anche famiglie con un reddito fisso. Questa situazione, a causa anche di una scarsa educazione finanziaria sulla gestione del proprio portafoglio, rappresenta l’anticamera dell’usura».

Come ci si approccia giornalisticamente alle vittime di usura?

«Le vittime quasi sempre vedono il loro usurario un po’ come un benefattore, sviluppando quindi un fortissimo senso di colpa. Una volta superata questa corazza, diventa più facile farli parlare e dunque poter ascoltare le loro storie. La fase iniziale è sicuramente la più difficile perché spesso fanno fatica a confrontarsi addirittura con i propri familiari».

La società è consapevole di questo fenomeno o si tende ad ignorare?

«Ignorare “no”, ma sottostimare “sì”. L’educazione finanziaria degli adulti è ancor più importante rispetto a quella degli under 25, ed è la chiave di volta per prevenire il fenomeno dell’usura. Anche la difficoltà di accesso al credito è un problema, perché favorisce l’usuraio che si presenta come “alternativa”».

Che cosa vi ha spinto a scrivere questo libro?

«Il filo conduttore è sicuramente quello di voler rappresentare l’usura come un fenomeno dal quale si può uscire denunciando; raccontiamo storie di vittime di usurai legate ai clan mafiosi, che hanno trovato la forza di ribellarsi. È chiaro che intorno a queste vittime è necessario costruire una rete istituzionale e sociale più forte e rapida. L’idea di questo libro è opera mia e di Luigi Ciatti, ma dobbiamo sicuramente ringraziare Salvatore Cantone, responsabile dello sportello FAI di Pomigliano d’Arco, perché lui ci ha permesso di conoscere ed avvicinare le tante vittime protagoniste del libro. Abbiamo deciso di pubblicarlo perché ci siamo accorti che questo fenomeno si stava evolvendo, da realtà di quartiere a vera e propria realtà sociale: moltissimi usurai sono ormai a stretto contatto con i clan mafiosi, elemento che non vi era negli anni 80-90, dove non sussistevano relazioni con i vari clan Casamonica, Spada, Mallardo, Moccia ecc. Adesso invece questi usurai sono dei veri e propri intermediari per queste organizzazioni».

Il termine “Mano Nera” rievoca la “Black Hand”, la tattica di estorsione adottata dagli immigrati italiani legati alla camorra e alla criminalità siciliana di inizio Novecento. Oggi ci sono ancora degli elementi in comune?

«All’inizio potrebbe sembrare di “no”, ma la storia è un qualcosa che si ripete sempre. Si stanno infatti formando “nuove leve” di quartiere, che prestano soldi alle famiglie per le utenze o piccoli imprevisti. Questi strozzini di prossimità possono essere valutati un po’ come quelli che una volta erano considerati i punti di riferimento della Mano Nera, soprattutto per quanto riguarda gli immigrati; non a caso queste personalità sono molto spesso interne alle comunità di immigrati, e mi riferisco alla comunità cinese, a quella del Bangladesh o a quella egiziana».

Qual è il ruolo del giornalismo in questa lotta?

«Parlarne è fondamentale, ma ancor più importante è “parlarne bene”; troppo spesso noi giornalisti rischiamo di essere superficiali. È necessario realizzare approfondimenti, inchieste, aprire dossier, andare ad indagare il contesto sociale ed economico, senza limitarsi alla cronaca dei fatti. Non a caso Falcone riteneva questo fenomeno un “fenomeno sociale”».

TRATTO DA MAGAZINE INFORMARE

N°232 – AGOSTO 2022

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