cooperativa sociale orsa maggiore

INTERVISTA. L’Orsa Maggiore e il focus su integrazione e legalità: parla Angelica Viola, Presidente della Cooperativa

Silvia De Martino 11/05/2022
Updated 2022/05/11 at 11:43 AM
6 Minuti per la lettura

L’Orsa Maggiore è una cooperativa sociale nata nel quartiere Rione Traiano di Napoli nel 1995 da un gruppo di donne che in comune avevano un’esperienza di volontariato alle spalle e il sogno e l’ambizione di specializzarsi sul piano professionale nei servizi alla persona. Dopo 27 anni di operato, ad oggi mira a favorire l’integrazione e promuove attività sociali, educative, di inclusione e di cittadinanza attiva.  

Abbiamo avuto l’opportunità di intervistare la dott.ssa Angelica Viola, Presidente della Cooperativa Sociale, che ci ha illustrato le tappe di evoluzione di quest’ultima e i progetti per la legalità e l’integrazione.  

In che contesto è nata la Cooperativa? 

«Nasce in un periodo di trasformazione sul piano normativo per l’Italia, con l’introduzione della legge nazionale che distingue il volontariato dalla cooperazione sociale e la 285 del ’97 per il Piano Nazionale Infanzia. Queste due norme ci spinsero a fondare una cooperativa per offrire servizi alla persona nelle aree socioeducative, di implementazione delle competenze e di emancipazione delle donne vulnerabili». 

A cosa ha portato il Piano Nazionale Infanzia? 

«Ha portato all’istituzione di un fondo dedicato ad azioni di promozione dei diritti dei bambini e delle donne. Nella declinazione locale si parla di Laboratori di educativa territoriale, ovvero poli complementari all’impegno scolastico e curriculare, frequentati da bambini e adolescenti, con un’equipe dedicata al supporto in diverse aree». 

Quali sono stati i vostri principi costitutivi? 

«L’attenzione di genere è stata molto significativa per la nostra scelta a monte. Nei primi anni abbiamo avuto finanziati progetti sulle pari opportunità, abbiamo lavorato con le donne di questo quartiere sui temi del rafforzamento delle competenze di base, dell’adeguamento dei percorsi formativi e del supporto all’inserimento lavorativo». 

Cosa è cambiato da allora?

«Alcune cose si sono implementate e strutturate grazie alla crescita di questa organizzazione, come il servizio di educativa territoriale, ed altre si sono aggiunte. Negli anni abbiamo posto un’attenzione maggiore all’integrazione e alla legalità. Fare l’operatore sociale a Rione Traiano vuol dire sapere ogni giorno qual è la piazza di spaccio, ascoltare bambini che raccontano qual è il codice per avvertirsi che sta arrivando la polizia e quindi interrogarsi su cosa poter fare». 

Sull’integrazione come agite? 

«Con il tempo abbiamo iniziato a chiederci cosa succede ai ragazzi più vulnerabili. I bambini con disabilità in età infantile hanno un’offerta potenziata, in virtù delle loro fragilità, ma da adulti scompaiono dalla mappatura dei servizi. Così sono cresciute dentro di noi due domande: come impegnarsi sul piano della legalità e cosa ne è di queste persone. Da tali domande nasce, grazie ad un iter amministrativo, l’affidamento alla nostra cooperativa di un bene confiscato alla mafia. Si tratta di Villa La Gloriette a via Petrarca, ex casa di Michele Zaza, noto camorrista napoletano». 

Che servizio svolgete al suo interno? 

«A Casa Glo, che prende la matrice del nome originario ed è l’acronimo di Giovani, Lavoro e Opportunità, realizziamo un servizio dalle 8 alle 17 tutti i giorni a favore di giovani adulti con vulnerabilità. Dalla disabilità intellettiva, frutto di una diagnosi genetica, alla fragilità sociale, derivante da eventi altamente traumatici, come abuso sessuale, fallimento adottivo, conflittualità in famiglia. Proponiamo un percorso centrato sulle autonomie delle persone per potenziarle, implementando la dimensione comunitaria. I ragazzi fanno attività nelle aree cognitiva, espressiva e produttiva, smussando le proprie fragilità. Il nostro servizio non è beneficenza, ma un contributo a costruire l’autonomia delle persone». 

E per il tema della legalità? 

«La legalità la tocchiamo sia con la dimensione territoriale, operando in un contesto in cui la criminalità cammina al nostro fianco, che con il gestire un bene confiscato. Lì sentiamo l’esigenza di dare vita ad un servizio sociale attivo ogni giorno che possa simboleggiare la riappropriazione di quel luogo da parte di tutti». 

Quanta soddisfazione deriva dal lavoro sociale? 

«Dà una gratificazione smisurata, che spinge ad andare avanti ogni giorno con il sorriso sulle labbra. Ma nel lavoro sociale ci sono anche frustrazioni e sofferenze, che pesano, segnano e feriscono moltissimo e che diventano un monito. Si sviluppa così la consapevolezza che noi siamo un solo tassello di un più ampio mosaico e che nella vita educativa di una persona ci sono molti altri fattori che incidono». 

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