Dalla lettura di un articolo pubblicato sul sito www.unipi.it del 3 gennaio 2023 è nato un confronto costruttivo che ha portato a quest’intervista. Alcuni punti dell’articolo sono stati di particolare interesse e li citiamo: «La coltura del fico, attualmente in declino in Italia ma economicamente molto redditizia, è la risposta ottimale per recuperare i terreni altrimenti persi per l’agricoltura. A questa conclusione è giunto il progetto “Ficus carica, un’antica specie con grandi prospettive” finanziato e condotto dall’Università di Pisa che ha approfondito le conoscenze su questa pianta. I ricercatori dell’Università di Pisa hanno lavorato due anni, dal 2020 al 2022, arrivando a sequenziare il genoma del fico con un metodo innovativo che ha consentito loro di indagare la performance di questa pianta in condizioni di elevata salinità. I risultati hanno così confermato che è una coltura ideale per il recupero dei terreni salini marginali. La salinità del terreno non determina infatti una variazione degli zuccheri totali e dei principali componenti dei frutti. Anzi, l’aumento del livello endogeno di acido salicilico farebbe ipotizzare un effetto “priming”, cioè una strategia adattativa che migliora le capacità difensive della pianta».
Abbiamo avuto l’opportunità di approfondire la tematica con la coordinatrice del progetto, la prof.ssa Barbara Conti dell’Università di Pisa.
Ci potrebbe fornire ulteriori informazioni sul percorso fatto, fino a giungere alle attuali conclusioni?
«La domanda da porsi prima di tutto è: perché occuparci di Ficus carica? I frutti di fico da sempre sono stati considerati un alimento base molto importante. Le prime informazioni sulla coltivazione e il consumo del fico risalgono al 4.000 a.C. nell’antico Egitto. Gli Egizi non solo hanno lasciato dipinti dove possiamo vedere persone che raccolgono o mangiano fichi, ma hanno anche lasciato documenti con le descrizioni delle tecniche di salatura e di essiccazione. Anche nell’antica Grecia i frutti del fico erano un alimento base molto importante e la produzione era così abbondante per l’economia del paese che fu necessario istituire una classe dirigente speciale, chiamata syconfanti, per il controllo del commercio illegale di fichi. Quindi, i frutti di fico erano un alimento base per le popolazioni locali, così come ora. Abbiamo scelto di occuparcene per la sua produzione, molto abbondante, che permette di conservare i fichi essiccati per un lungo periodo: questo oggi potrebbe rappresentare una notevole fonte di reddito per gli agricoltori. Un altro motivo riguarda il punto di vista paesaggistico. Per millenni i fichi hanno contribuito a caratterizzare il paesaggio rurale, divenendo l’icona della campagna italiana e della cultura contadina. L’obiettivo quindi della ricerca è stato di accrescere le scarse conoscenze genetiche, biochimiche, fisiologiche e di controllo degli insetti dannosi per il fico, al fine di rilanciare le potenzialità di questa coltura molto redditizia su adeguate basi.
Lo studio del fico ha quindi consentito di condurre 3 diverse indagini. In caso di stress salino, è stato possibile verificare che dal punto di vista fisiologico, nutrizionale, sensoriale non ci sono significative alterazioni rispetto ai fichi allevati in condizioni standard e che di conseguenza la specie è adatta per il recupero dei terreni salini marginali. È stato possibile effettuare il sequenziamento del genoma che ha consentito di identificare i geni responsabili della resistenza allo stress salino. La ricerca si è poi completata con una specifica indagine sulla biologia del punteruolo del fico, Aclees taiwanensis, una specie di insetto aliena di recente introduzione, simile al punteruolo della palma che sta perpetrando dei disastri in Italia Centrale portando a morte i fichi».
Esistono ulteriori studi o ricerche che intendete affrontare a breve sul fico?
«Molto dipende dai finanziamenti. Il contesto lo consente, non si possono fare le “nozze con i fichi secchi”. A livello Europeo la specie non è ritenuta di grande importanza visto che il fico è considerata una coltura minore, ma neppure a livello locale, dove invece dovrebbe essere attenzionata. Tuttavia, senza finanziamenti non è possibile fare ricerche applicative di questo tipo».
È possibile ipotizzare un’immediata applicazione dei risultati delle ricerche? Ritiene sia possibile organizzare ulteriori casi studi sul campo anche ad una scala più ampia?
«Una ricerca di 2 anni fornisce risultati che vanno sicuramente confermati nel tempo e certamente su una scala diversa e più ampia di quella del biennio 2020-2022».