Nicola Badia

INTERVISTA. «Il mio spazio è questo», un pomeriggio con l’artista Nicola Badia

Gianrenzo Orbassano 14/06/2023
Updated 2023/06/13 at 7:21 PM
6 Minuti per la lettura

«Ti ho visto arrivare dalla finestra». È stata questa la prima cosa che mi ha detto Nicola Badia appena ci siamo incontrati sull’uscio della sua casa laboratorio a Sant’Angelo in Formis. Saper aspettare, la pazienza, vedere. Sono forse queste alcune delle doti di un ceramista, di uno scultore e di un pittore. «Nel piano di sotto, c’è il laboratorio dove lavoro alle mie ceramiche. Se avessi avuto anche il forno per cuocerle, non mi sarei proprio più mosso da casa». Il silenzio, la continua riflessione, l’instancabile ricerca e l’imperscrutabilità psicologica sono le accezioni significative che sintetizzano l’intero percorso artistico di Nicola Badia. La sua casa è immersa dai suoi lavori, dalle collezioni dell’artista latinense Francesco Costanzo, dai materiali da lavoro, dai modellini ancora in fase di ultimazione.

Noi di Magazine Informare conosciamo molto bene Nicola Badia, ma ancora non eravamo entrati in contatto con il suo luogo di vita. La scultura del pugno chiuso esposta fuori la nostra redazione di Castel Volturno, la stessa che doniamo ai protagonisti del nostro territorio in occasione del premio d’eccellenza, è opera sua. Tutto è incominciato all’Istituto Statale d’arte di Calitri, in provincia di Avellino. Oggi Nicola Badia è un artista che evidenzia un’assoluta originalità nel campo creativo, insieme ad una particolare sensibilità per la materia, per il substrato.

Nel campo della ceramica così come della scultura, Nicola Badia, segue, da alcuni anni, un percorso diverso, maggiormente legato alla tradizione più aulica. Attraverso le sue opere si coglie la sua personale visione del mondo e della società circostante, si percepisce la sua sincera ed autentica visione dell’universo figurativo, la ricerca della verità della natura reale e dell’inconscio irrazionale. Mi spiega la lavorazione minuziosa delle sue sculture, come si utilizzano i calchi. I materiali che usa sono il legno, il gesso, la resina, il borotalco che serve a far staccare premurosamente l’argilla dagli stampi, la pittura, il sapone per creare le forme. Poi c’è il confrontarsi con un pubblico.

Come si deve comportare – immaginando che esista una regola – davanti ad un’opera d’arte uno spettatore?

Si deve sempre trovare un significato? Badia, uomo di esperienza, mi risponde così: «La mia pittura viene dalla scuola dell’astrattismo. Ognuno ha il compito di vedere quello che vuole. Certo, se l’autore dà un suo codice, è un altro discorso». A volte si ha la sensazione di essere bloccati in una competizione dove l’opera non è da ammirare ma da decifrare. Di contro, penso che lo stesso fruitore abbia tutto il diritto di comprendere cosa ha davanti.

Ed è proprio questa la dimensione che l’arte offre a chi se ne interessa. Una dimensione di assoluta libertà. Scopro una nuova stanza della casa di Nicola dove conserva statuette di donne africane somiglianti alle Matres Matutae, ceramiche per eventi di ricorrenza, vasi, volti a grandezza naturale con barbe lunghe e capelli folti. Tutto finemente lavorato a mano. È la sua gioielleria, il suo archivio. «Non divenni da subito indipendente grazie alle mie ceramiche e ai miei quadri. Negli anni Settanta, le supplenze per insegnare ti potevano portare lontano da casa tua con una paga misera. Un giorno andai in un capannone di ceramica industriale a Capua per chiedere un posto di lavoro. Il responsabile, dopo aver ascoltato tutto quello che sapevo fare, mi fermò dicendomi che questo lavoro era più industriale che artistico, diciamo così. Si lavoravano i sanitari. A me interessava lavorare. Così restai in questa fabbrica come modellista per vent’anni. Sicuramente era meglio lavorare con le scuole, ma è andata così. La fabbrica chiuse ed io incominciai a fare quello che volevo, cioè tutto quello che vedi intorno a te. Anche se c’è un po’ di confusione…».

Ma è la sua confusione, il suo ordine

Il tempo dedicato alla visita di questa casa, continuava tra i ricordi dell’artista: «Ricordo quando a Capua ci riunivamo al Museo Civico Arte Contemporanea “Terra di Lavoro” – Cittadella dell’Arte sito nel Chiostro dei Carmelitani. C’era un gran fervore. Tutte le cose belle però finiscono. È finita la sensibilità di pensare che questi luoghi aiutano la comunità al bello. Peccato, ce lo invidiavano». Badia è stato anche all’estero, negli Stati Uniti d’America. In un simposio ha conosciuto artiste moldave, cui tutt’ora mantiene contatti: «Il problema è la lingua. Mi arrangiavo con il traduttore, ma le conversazioni non erano logicamente naturali. La nostra arte figurativa annullava tutto. Questo – il linguaggio silenzioso dell’arte – lo capiscono senza bisogno di tradurre».

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