PAN

INTERVISTA. Far convivere la città dei vivi con la città dei morti al PAN

Gianrenzo Orbassano 31/03/2023
Updated 2023/03/31 at 5:11 PM
6 Minuti per la lettura

Il PAN – Palazzo delle Arti di Napoli, ha ospitato una mostra volta a pensare una costruzione condivisa di nuovi immaginari per gli spazi di sepoltura. È vero, si tratta di una mostra non convenzionale. Bene specificare che siamo di fronte ai risultati intermedi di una ricerca universitaria interdisciplinare, davanti ad un fondamento scientifico.

Il sistema cimiteriale della collina di Poggioreale è stato messo in mostra insieme ad altri casi di studio individuati in Belgio, Francia, Germania, Paesi Bassi e Stati Uniti. Cimiteri dove la presenza della morte convive con la presenza terrena dei cittadini. Il DiARC con il gruppo di ricerca R./.P. dell’Università degli Studi di Napoli Federico II e in collaborazione con il Comune di Napoli, ha indagato le attuali condizioni dei cimiteri, riconoscendo come queste aree siano ormai parte del tessuto urbano.

Partendo dalle specificità del contesto napoletano, la mostra cerca di pensare ai luoghi di sepoltura come luoghi della cura, nel senso di benessere fisico e mentale, cura comunitaria e personale. Noi ne abbiamo parlato con l’architetto Giovangiuseppe Vannelli e la Professoressa Angela D’Agostino dell’Università Federico II di Napoli, curatori della mostra.

Quali sono i contenuti della ricerca che questa mostra ha voluto rimarcare?

«La mostra nasce dalle urgenti istanze di natura culturale, sociale, religiosa e ambientale e dalla necessità di risparmiare suolo con nuove tecniche di sepoltura. La ricerca si interroga sui cambiamenti in atto di questi spazi della città. Volevamo innescare un interesse generale, uno sguardo che pone al centro questo tema sul quale devono convergere gli interessi di tutti, dagli amministratori ai cittadini. Abbiamo messo in mostra delle immagini senza ipocrisia che raccontano il reale, mostrando il grande patrimonio di cui Napoli dispone».

Nel meridione siamo abituati a delle tecniche di sepoltura tradizionali, nonostante la cremazione che rimane un tabù. Quali tecniche di sepoltura si stanno facendo largo?

GV: «Nel 2018 mi trovavo alla Columbia University di New York per intervistare la coordinatrice del laboratorio DeathLAB. Le raccontai che Napoli si stava equipaggiando di un crematorio. La sua risposta fu quella che dà loro stavano già capendo come dismettere i crematori, poiché i processi di combustione sono poco sostenibili. Alternativa sostenibile alla cremazione è ad esempio l’acquamation (idrolisi alcalina). Questo scarto temporale ci fa comprendere le complesse implicazioni che attengono al tema delle prospettive degli spazi di sepoltura. Non ci rendiamo conto trasformiamo il pianeta e, in quanto corpi, lo danneggiamo anche dopo la morte: l’antropocene continua oltre la vita».

ADA: «Nonostante questo, la cremazione è un sistema che si sta diffondendo presso le nuove generazioni per varie condizioni di vita. Certamente, la cremazione determina un cambiamento necessario nella considerazione degli spazi. Negli altri cimiteri europei o americani esposti in mostra, si nota che ci sono altri luoghi all’interno degli stessi cimiteri legati all’idea di un nuovo tipo di sepoltura».

Il cimitero come eterotopia: quali soluzioni?

GV: «Lo spazio deve essere concepito per accogliere la complessità. Ci sono strategie progettuali chiare messe in evidenza nei casi studio che rappresentano occasioni per far convivere la città dei vivi con la città dei morti, i riti dell’una e le prassi dell’altra. Prendiamo i casi dei cimiteri De Nieuwe Ooster di Amsterdam e Schoonselhof di Anversa: offrono spazi che consentono di far coesistere le persone che si recano al cimitero per affrontare l’elaborazione del lutto insieme a quelle che lo frequentano per attività sportive, culturali e ricreative».

ADA: «Napoli è una città singolare e ha un sistema cimiteriale differente da quelli di altre parti del mondo. La mostra non vuole rinnegare un’identità culturale espressa in forma architettonica e urbana, ma invita a ragionare su quelle che possono essere le prospettive di questo spazio proprio per consentirne la sopravvivenza. I nostri cimiteri sono dei monumenti dove sarebbe bello entrare in una logica diversa per la loro fruizione».

C’è bisogno di un riconoscimento di valore dei cimiteri napoletani?

GV: «È auspicabile. Ma non può prescindere da un progetto della coesistenza per la transizione. Nell’ambito della nostra ricerca ci sono sempre visioni che tendono ad una coesistenza. La settorializzazione della città del ‘900 viene sempre più superata da una visione che tende a sovrapporre usi e funzioni. Questa cosa tarda ad arrivare nei cimiteri, ma questo scatto in avanti è quanto mai urgente».

ADA: «Portare la mostra al PAN ha significato poter interagire con un altro tipo di utenti che sono stati quindi coinvolti nella ricerca con azioni di public engagement e disseminazione. Interfacciandoci con il pubblico e con le istituzioni – amministrazione comunale e sovrintendenza – abbiamo avuto modo di testare che si sta prendendo in considerazione la necessità di lavorare su questi spazi. Auspichiamo che la ricerca scientifica, con un’idea di comunità sempre più consapevole insieme alle istituzioni chiamate ad intervenire, possa essere utile a questo lavoro di identificazione di idee progettuali per la transizione in corso».

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