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INTERVISTA. Fabrizio Gifuni: “L’omologazione creativa sta distruggendo lo spettacolo”

Luisa Del Prete 11/08/2023
Updated 2023/09/05 at 3:26 PM
8 Minuti per la lettura

«[…] Il Gioco, la fantasia e l’immaginazione sono le uniche “armi” straordinarie in questo periodo di folle bellicismo e aggressività»: l’antidoto per resistere a questi tempi bui dello spettacolo. Dalla celebre e potente interpretazione di Aldo Moro in “Esterno Notte”, al ruolo di Inquisitore in “Il Rapito” al ruolo di Arturo Maria Barambani in “Mixed by Erry”, l’attore romano Fabrizio Gifuni ha, di certo, dominato la scena dello spettacolo italiano in quest’ultimo anno, arrivando anche alla sua seconda vittoria del Premio David di Donatello, questa volta come “Miglior attore protagonista”.

Un attore dalla singolare capacità espressiva: dopo aver mosso i primi passi all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica, ha continuato la sua carriera con una serie di produzioni artistiche che hanno lasciato il segno, da film come “Così ridevano” di Gianni Amelio a spettacoli come “La trilogia della villeggiatura” di Massimo Castri. Fabrizio Gifuni ha raccontato ai microfoni di Informare non solo i suoi ultimi successi, l’evoluzione della carriera e i progetti futuri, ma la sua visione dello spettacolo dei nostri giorni: un mondo che ha bisogno di cambiamento per salvarsi dall’oblio.

Partiamo da “Esterno Notte”: la celebre interpretazione del Presidente della DC Aldo Moro ti ha portato alla vittoria del tuo secondo David di Donatello, questa volta come miglior attore protagonista. Ci racconti un po’ di quest’esperienza?

«Esterno Notte è stato – afferma Fabrizio Gifuni – sotto molti punti di vista il progetto più importante di questi miei primi 30 anni di lavoro, arrivato credo al momento giusto coincidente anche con una mia maggiore maturità artistica. Lavorare con Marco Bellocchio, con un cast tecnico e artistico di autentici fuoriclasse, su un racconto della nostra storia su cui già studiavo da anni per interesse personale e su un personaggio così complesso e pieno di sfumature umane, è stato un autentico regalo. Per tutti questi motivi ho avuto la possibilità di compiere una vera immersione a cui mi sono abbandonato completamente. Lavoravo già da molti anni sul personaggio di Aldo Moro, grazie anche a uno spettacolo che ho dedicato a tutto ciò che Moro ha scritto durante i 55 giorni della sua prigionia e che mi ha permesso di arrivare sul set con una preparazione lunga e sedimentata nel tempo. Sono felice dopo 4 anni di tournée di poterlo portare a Napoli la prossima stagione (dal 15 al 18 febbraio 2024 al Teatro Nuovo) perché in questi anni ho ricevuto centinaia di messaggi e di mail da parte pubblico di Napoli che mi chiedeva come mai non fossi ancora venuto».

Da “Esterno Notte” a “Il Rapito”, “Mixed by Erry”, tantissime sono le interpretazioni dell’ultimo anno: un ricordo di quest’ultime…

«“Rapito” è stata la felice prosecuzione del lavoro e dell’intesa con Marco in un’altra forma. Indossare i panni dell’ultimo Inquisitore di Bologna è stato un viaggio estremamente stimolante. “Mixed by Erry” mi ha dato la possibilità di tornare a un genere, quello della commedia, che vorrei mi proponessero di più. È stato un lavoro fatto con leggerezza e grande divertimento, diretto da Sydney Sibilia con cui non avevo mai lavorato, con un cast di giovani interpreti uno più bravo dell’altro».

Ma tantissime sono state le tue interpretazioni, nel corso dei tuoi 30 anni di carriera e tantissime le collaborazioni importanti: da Castri a Gianni Amelio, Giuseppe Bertolucci, Marco Tullio Giordana… Qual è quella che ti ha segnato di più?

«Sono tutti registi, a parte quelli purtroppo scomparsi e che mancano molto al cinema e al teatro italiano, con cui lavorerei di nuovo immediatamente. Castri, in teatro e Amelio, al cinema, sono legati ai miei inizi. Con Bertolucci ho avuto per anni un sodalizio umano e artistico abbastanza unico. Marco Tullio è sinonimo de “La meglio gioventù”, un’opera entrata giustamente nella storia del cinema e della televisione, non solo italiana. Un film che ha avuto, fra i tanti meriti, anche quello di aver presentato per la prima volta al pubblico, tutta insieme, una nuova generazione di interpreti».

Si parla di “morte” del Cinema e di “sopravvivenza” del Teatro: tu cosa ne pensi a riguardo? Ci sarà davvero la morte del primo e la sopravvivenza, a stenti, dell’altro?

«Penso che il Cinema non sia affatto morto e non morirà mai, se riusciremo tutti insieme a mettere dei paletti fermi alle nuove forme di produzione e distribuzione, come sta accadendo in America. È inevitabile che ciò accada, hanno troppo tirato la corda, continuare a parlare ormai da anni unicamente di “prodotti” mettendo al centro solo il guadagno e i processi di omologazione creativa, non può che portare a uno scontro con chi difende diritti e qualità. Il teatro durerà in eterno perché vive della presenza e della potenza dei corpi e non della riproducibilità delle immagini, dopo di che occorrerà sempre continuare a chiedersi che tipo di teatro abbia senso mettere in campo in questo presente».

In questo periodo “buio”, soprattutto dal punto di vista culturale, quale credi che sia l’arma per una resistenza efficace?

«Come ho detto anche la sera dei David sono convinto che il gioco, la fantasia e l’immaginazione sono le uniche “armi” straordinarie, almeno fra quelle che conosco, in questo periodo di folle bellicismo e aggressività, gli unici beni immateriali che vanno difesi a ogni costo e rappresentano un grande antidoto alla decadenza e alle mostruosità del nostro presente».

Quali sono i tuoi progetti futuri?

«In questi giorni sono impegnato in un lavoro di “direzione artistica” a cui tengo molto e a cui mi dedico da sette anni, come forma di volontariato civico e culturale. Una grande rassegna teatrale che si chiama “PrimaVera al Garibaldi” che si svolge in due momenti dell’anno in due luoghi storici di una cittadina pugliese da cui viene una parte importante delle mie radici. Questa estate, dopo il concerto dell’immensa Ute Lemper del 22luglio, stanno per arrivare nel meraviglioso Anfiteatro Augusteo di Lucera, Peppe Servillo & Solis String Quartett (7 agosto), Vanessa Scalera (11 agosto) e Marco Paolini (23 agosto). Sarebbe bello se una parte del pubblico di Napoli, abituato alle meraviglie di Pompei venisse a scoprire un altro tesoro del patrimonio storico e archeologico italiano. Finito il Festival tornerò al lavoro su un nuovo set, diretto da Francesca Comencini» conclude Fabrizio Gifuni.

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