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INTERVISTA. Enzo Moscato: “Il Teatro è il rischio dell’incontro umano”

Luisa Del Prete 08/06/2023
Updated 2023/06/08 at 5:29 PM
6 Minuti per la lettura

Quando parliamo del Teatro napoletano contemporaneo, della drammaturgia vera, del sentire la napoletanità, la veracità delle emozioni e il sangue pulsare all’interno di ogni verso scritto di un testo, non si può non parlare di Enzo Moscato. Ha raccontato Napoli in tutte le sue sfumature: con una singolarità ed una sensibilità senza eguali. Da capolavori come “Scannasurice” e “Occhi gettati” a “Compleanno” fino agli ultimissimi “Bordello di mare con città” o “Modo minore”. Una storia d’amore passionale col Teatro, fuso con la sua città d’origine, che hanno dato vita ai testi e agli spettacoli più importanti del Teatro contemporaneo napoletano: rivoluzionando la tradizione e rendendola ancora più viva; come ci ha raccontato il Maestro Moscato nel dialogo che segue.

Lei che ha creato dei capolavori su Napoli e che, dunque, ha sempre avuto un occhio particolare per essa: come crede che, negli anni, questa città sia cambiata?

«La mia generazione è quella del post-guerra, io sono nato nel ’48 quindi negli anni ho visto Napoli trasformarsi. Una data emblematica è sicuramente quella del terremoto dell’80 e l’ho anche narrato nei miei testi perché questa data coincide con l’esordio della mia carriera artistica. L’ho vista trasformarsi dal punto di vista metropolitano perché è diventata molto più estesa e si è rinnovata; inoltre, l’ho vista mutare anche e soprattutto dal punto di vista umano, anche se questo credo che sia un problema a carattere generale dell’umanità attuale: avere questa carenza di sentimento ed emozione. Lo riscontro sempre, anche nel rapporto col pubblico. Io di certo non posso lamentarmi: vado in scena da anni, sono seguito, ma la mia impressione è che devi fare uno sforzo maggiore. Il Teatro è emozione, soprattutto, poi viene la comprensione e il valore di significato».

Da dove parte la carica emotiva dei suoi testi?

«Il Teatro somiglia un po’ ad un setting analitico: c’è un Maestro dell’anima che ha fatto esperienza da alunno precedentemente e lo passa agli altri. Il Teatro, senza questo transfer, non esiste. Io vengo da un mondo di filosofia e, insieme a questo, ho dovuto coniugare la mia infanzia, i vicoli, la lingua napoletana, raccontare gli anni ’50 e ’60, perché siamo noi i testimoni della nostra epoca».

Napoli, oggi, come si fa guardare?

«La città si fa guardare nei modi in cui si trasforma. Posso dirti che c’è un abisso tra il mio primo testo, “Scannasurice”, e l’ultimo che ho prodotto. I linguaggi cambiano ed io cerco di essere molto attento in questo. Se ti devo dire se è meglio ieri o oggi? Beh, è sotto gli occhi di tutti che oggi i Teatri vengono presi a calci in faccia. Siamo in un momento in cui il Teatro vero, quello che ti fa pulsare e ti emoziona, ho forti dubbi che sopravviverà».

Che futuro vede per il Teatro partenopeo?

«A volte mi mandano dei testi, alcuni sono notevoli ed io li incoraggio, ma gli dico anche che è una strada molto difficile. L’epoca in cui siamo venuti fuori io, Ruccello, Santanelli e poi Falso Movimento, Teatri Uniti. Erano anche i tempi in cui il desiderio di dare una risposta diversa alla tradizione era molto forte. Oggi abbiamo degli strumenti che, per un verso, ci facilitano la comprensione e la comunicazione; per altri versi, penalizzano l’anima ed il rischio dell’incontro umano. Il Teatro è pericolo: di emozionarsi, di sentirsi diverso, di uscire fuori dall’uniformità della vita. Oggi è tutto una grossa svendita all’ingrosso: quest’arte non è per tutti».

A volte, però, sono anche i Teatri a non essere pronti…

«Sì, è così. Io e Annibale quando, da giovani, andavamo dai grossi imprenditori del Teatro napoletano: questi ultimi, ci ridevano in faccia. Poi, dopo, in seguito ai vari Premi, si sono un po’ convinti. Ad esempio, oggi portare in scena “Ferdinando” di Annibale non desta scalpore, ma all’epoca c’erano tutt’altre reazioni. E non dal pubblico, bensì dagli imprenditori che ti dovevano produrre. E, ad oggi, non è cambiato molto: o fai Teatro commerciale o niente».

Visto che l’ha citato molto spesso ed è risaputa la solida amicizia che vi legava: quanto Ruccello c’è nei testi di Moscato?

«Ruccello c’è sempre. Specificamente in “Compleanno” che è uno spettacolo che io ho portato in tutto il mondo: dovunque mi hanno chiamato all’estero, ho portato questo, facendo conoscere Annibale. Inoltre, ha avuto anche molte traduzioni: in inglese, tedesco, francese. A “Compleanno” sono legato in modo particolare».

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