Giuseppe Molaro

INTERVISTA. Dalla terra alle stelle: un viaggio tra le contaminazioni di Giuseppe Molaro

Updated 2023/07/18 at 1:44 PM
6 Minuti per la lettura

L’Italia è da sempre conosciuta come una delle culle culinarie più affascinanti e dai sapori unici al mondo. Le tradizioni e le ricette che vengono tramandate di generazione in generazione, permettono alla cucina italiana di resistere nel tempo, ma le permettono anche di evolversi e creare qualcosa di nuovo.

Napoli è un esempio lampante di come la tradizione culinaria sia un vero e proprio patrimonio da preservare e rispettare, tutti noi abbiamo il ricordo del ragù della domenica della nonna. Napoli al tempo stesso, grazie al suo clima ed alle sue terre, ci regala in ogni stagione prodotti unici che permettono non solo la creazione dei pasti più “regolari”, ma anche l’invenzione di sapori che sanno di casa, ma una casa diversa, una casa che ha viaggiato, quasi come se in un sol boccone, viaggiassimo anche noi.

Sono molti ad oggi, nel mondo della cucina, gli chef napoletani che hanno rivoluzionato la tradizione, omaggiandola e regalando a questi piatti una luce diversa. Tra viaggi e scoperte, ogni chef riesce a donare alla propria casa, un tocco di “mondo”, donando così alla propria cucina quel carattere unico che serve a brillare. Nella provincia di Napoli, precisamente a Somma Vesuviana, c’è uno chef in particolare che brilla con le sue due stelle: Giuseppe Molaro, uno chef che di “Contaminazioni”, nome del suo ristorante, ne capisce parecchio.

I primi passi culinari

Inizia la sua carriera a 14 anni e si afferma come chef grazie alle sue esperienze in giro per l’Europa tra l’Irlanda, la Spagna e la Francia, ma a fare la differenza saranno le sue esperienze con Heinz Beck prima a La Pergola a Roma e successivamente a Tokyo, dove lo chef Giuseppe Molaro trarrà la sua più grande ispirazione.

I piatti dello chef sommese sono l’incarnazione perfetta di come la tradizione possa amalgamarsi perfettamente con il nuovo per creare qualcosa di unico, qualcosa di fuori dagli schemi che non si era mai visto. Ed è proprio per questo che oggi abbiamo voluto intervistarlo, per capire come la tradizione venga influenzata dalla creatività del suo bagaglio culturale.

Dalla terra alle stelle, Somma Vesuviana è da sempre rinomata per prodotti come il baccalà, il pomodoro del piennolo, la pellecchiella e molto altro, qual è l’ingrediente della tradizione che ti sta più a cuore e come sei riuscito ad integrarlo a livello internazionale?

«Proprio nel mio ultimo menù ho integrato in un piatto il baccalà e le pellecchielle, ho scoperto una bupna combinazione di sapori, la cui idea alla base è quella di riportare alla mente il paese da dove provengo».

Dal nome del tuo ristorante “Contaminazioni”, si evince facilmente quale sia il concetto che vuoi portare avanti. Le varie influenze delle tue esperienze sono un bagaglio di grande valore, quanto ne “raccoglie” la tua cucina?

«L’idea che è alla base dei menu che propongo al Contaminazioni Restaurant è quella di una cucina territoriale e allo stesso tempo cosmopolita, frutto diretto delle esperienze – le Contaminazioni – che ho maturato intorno al mondo sin da giovanissimo perché tutte le culture mi hanno sempre accompagnato nell’attuazione e ideazione di ogni piatto. Ovviamente nel mio cuore ci sarà sempre il Giappone dove, in 4 anni che sono stato lì, ho potuto scoprire questa terra dalle mille sfumature».

Se dovessi consigliare un tuo piatto ed uno della tradizione quali sarebbero?

«Ispirandomi alla tradizione e ad un piatto a me caro, consiglierei il baccalà con i legumi in versione tradizionale, ma che io ho riproposto anche nel mio ristorante: si tratta di baccalà un scottato con olio di zenzero, accompagnato da una crema di legumi misti con zenzero, dashi, salsa soia, mirin, sakè e per completare un’acqua di albicocche fermentate. Questo è uno dei modi in cui cerco di innovare un piatto della tradizione con le mie esperienze».

Ci sono tantissimi ingredienti che le nostre terre offrono, come anche il Monte Somma, che sono però sconosciuti ai più, qual è uno di questi?

«Sicuramente le torzelle, uno dei più antichi tipi di cavolo, molto simile a quelli che noi conosciamo come “friarielli”. La differenza è che la torzella ha una foglia più larga ed è leggermente più amara, si accosta perfettamente a piatti salati di ogni tipo».

Cosa consiglieresti ad un piccolo chef napoletano che ha la voglia di inseguire il tuo stesso sogno?

«Cominciare nel proprio paese di origini e non perdere mai la propria tradizione. Una volta fatto questo, viaggiare tantissimo, il più possibile, cercando sempre qualcosa di nuovo, ma senza mai dimenticare da dove si è partiti. Crescendo anche con i miei nonni, ho sempre sentito una forte influenza positiva da parte della mia famiglia nel contesto culinario, le domeniche dai nonni e mio padre che della cucina ne ha fatto il suo mestiere. Casa e viaggi, tanta positività e apertura mentale, il mondo è grande e tutto da scoprire nei suoi sapori e nelle sue tradizioni».

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