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INTERVISTA. Conosciamo Iabo: l’ex writer che rivoluziona il PAN

Elisabetta Rota 02/02/2023
Updated 2023/02/02 at 12:15 PM
6 Minuti per la lettura

Iabo nasce come writer nei primi anni novanta, ma ad oggi è un’artista affermato che fonde il suo background da street artist alla Pop Art. Il 27 gennaio è stata inaugurata al PAN di Napoli la sua mostra antologica IABO 20th, sette sale in cui sono racchiusi gli ultimi 20 anni di attività dell’artista. Ma non si tratta solo di una mostra da visitare, ci saranno anche laboratori formativi per gli studenti e i giovani dell’area penale minorile. Non mancheranno le collaborazioni, come quella con l’accademia ILAS o con INWARD per una serie di dibattiti sull’arte nel contesto urbano.

Abbiamo intervistato Iabo per approfondire il suo percorso artistico e conoscere il suo punto di vista sulla divisione tra arte di strada e arte museale.  

La tua arte è un insieme tra Pop e Street art, come si è evoluta la tua ricerca stilistica?

«Si, è un’arte che versa molto di più sul Pop. Questo perché nel tempo mi sono evoluto dal punto di vista della produzione verso il mercato dell’arte. Quindi, verso un’idea di arte imprenditoriale che è diventato poi uno dei miei punti di forza. Avendo un background da writer e da street artist, ho acquisito questa attitudine di comunicazione che mi ha permesso, attraverso le mie opere, di veicolare i messaggi in modo diretto e veloce come la pubblicità oltre ad inserire il mio lavoro all’interno della produzione mondiale. In questo senso, attualmente, è diretta la mia arte: ad una produzione di massa. Ecco perché mi sento più Pop, la street art va fatta in strada, nell’ambiente urbano e lì deve rimanere. Io non ho mai portato all’interno di “spazi chiusi” opere street, non avrebbe senso. Piuttosto cerco di portare quell’esperienza e il tipo di messaggio diretto che ne consegue, nei miei lavori su tela».

Tempo fa sei stato definito “un’artista inafferrabile”. Allora come fanno le tue opere ad arrivare alle persone e a cogliere la loro attenzione?

«I miei lavori riescono ad arrivare a tutti perché sfruttano la bellezza visiva dell’opera in sé. Per me è un doppio gioco, dietro il bello nascondo un messaggio, dunque lo spettatore cade nel mio trabocchetto.  Attratto dall’opera bella visivamente, caratterizzata da colori molto accessi e da contrasti cromatici, permetto allo spettatore di scoprire cose nuove, il messaggio nascosto. Come dicevo prima, opero e ragiono sulle mie opere come fa la pubblicità, dunque, la semplicità delle mie opere diventa un gioco visivo che attrae le persone».

Con i tuoi lavori hai affrontato spesso temi politici e storici in chiave ironica. Qual è il messaggio che c’è dietro?

«Nelle mie opere racconto quello che assorbo nel quotidiano e tutto quello che mi circonda. Dunque non c’è un messaggio criptico, ciò che voglio trasmettere con le mie opere si evince facilmente dai titoli. Non a caso, quando inizio un lavoro parto dal titolo; nasce prima quello e poi l’opera. L’ironia è nella nostra natura di napoletani, quindi “gioco” anche sui temi più seri. Nella mostra IABO 20th, infatti, c’è una parte della galleria interamente dedicata alla pandemia. Questo anche perché mi fa piacere quando una persona riesce ad affrontare con una risata un argomento difficile».

Da writer ad artista che espone al PAN, e non solo. Secondo te il concetto di street art intesa come “vandalismo” è stato superato?

«Assolutamente sì, già dal 2003 con l’esplosione del fenomeno Banksy, OBEY, Mr. Brainwash e tanti altri. Musei importantissimi come il Moma o il Guggenheim hanno aiutato a sdoganare questo concetto dedicando delle mostre a questo tipo di arte. Potrebbe essere definito ancora vandalismo il “graffiti writing”, quello che viene fatto sui treni da artisti come la crew 1UP. Ma la street art opera in modo completamente diverso. L’esempio più lampante e conosciuto è Banksy, lui fa operazioni mirate nell’ambiente urbano senza mai ricadere nel vandalismo. Un altro esempio è Jorit, è un ritrattista come tanti al mondo ma lui lo fa su facciate di palazzi commissionate molto spesso dalle istituzioni. È questa la differenza, la street art agisce su commissione o comunque su operazioni mirate con una determinata finalità. Dunque no, oggi la street art non è ritenuta vandalismo e la puoi trovare ovunque: nei musei, nelle gallerie e in città». 

I musei sono per e di tutti, da ex writer però, pensi che “l’arte di strada” riesca ad arrivare a più persone? Magari anche ai più giovani.

«Sicuramente l’arte di strada arriva a tutti senza limiti, in musei e gallerie invece c’è un pubblico più ristretto. Lavorare in strada è un concetto differente, ha un impatto e una visibilità diversa dai musei, di conseguenza anche la risposta che si riceve è differente. La street art ha più potere e rilevanza a livello pubblico, è più diretta. Inoltre, gallerie e musei non sempre sono accessibili a tutti, questo taglia già una grande fetta di pubblico che vorrebbe usufruire dell’arte. Non a caso la mia mostra IABO 20th l’ho voluta fortemente con ingresso gratuito, una persona può recarsi lì quando vuole e godersi l’arte pubblica».

DADART per IABO

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