Via Ferrante Imparato 111, quartiere San Giovanni a Teduccio, periferia orientale di Napoli. Un luogo con un passato laborioso, dove trovavano posto le più importanti industrie conserviere del meridione: da Cirio a Reale, Russo, Paudice. Da qualche anno è arrivata Apple con la sua Academy, laboratorio di eccellenza per lo sviluppo di software del colosso di Cupertino, negli Stati Uniti. Ma negli ultimi venti anni San Giovanni si è distinto per una criminalità efferata che ha lacerato un tessuto sociale di gente abituata a guadagnarsi con onestà il pane quotidiano, assoldando manovalanza criminale tra i tanti disperati del quartiere.
Abbiamo appuntamento con Carmela Manco, fondatrice di un’opera grandiosa, una donna che qualcuno ha osato definire la “Madre Teresa” di San Giovanni a Teduccio. La porta di ingresso è spartana, come tutta la struttura, ma si apre su un mondo meraviglioso, un locale enorme pieno di tavoli, sedie, mobili, persino un camino che restituisce una sensazione di calore umano indescrivibile.
LA LUCE NEGLI OCCHI DI CARMELA
Ci accoglie Luisa, una delle collaboratrici di Carmela, che con un sorriso ci spiega che l’associazione è la sua casa. La lascia solo per andare a dormire altrove. Carmela è un attimo impegnata a “sistimà ‘e criature pe a’ serata” perché devono pur mangiare. Un caldo abbraccio, come se ci conoscessimo da sempre, ma è la prima volta che ci vediamo, ed inizia la nostra amabilissima conversazione.
«Un giorno, mentre facevo i servizi, – abitavo in un appartamento di fronte all’area dismessa da Cirio – vidi dalla finestra un bambino che mangiava un panino. Vista l’ora capii che era il suo pranzo e mi chiesi perché non fosse rientrato a casa. Le strade non erano sicure, troppe le insidie, troppe le tentazioni per i ragazzi che nella criminalità trovavano una via per facili guadagni. Lo chiamai e mi spiegò che era una sua abitudine perché tutti i giorni, dopo la scuola, lasciava lo zaino nel paniere che la madre gli calava dal balcone. Nello stesso paniere la mamma gli metteva diecimila lire con le quali si comprava il panino. Rientrava a casa la sera.
Preoccupata osai invitarlo a venire a pranzo a casa mia il giorno successivo con la promessa di fargli trovare gli gnocchi. Accettò di buon grado e mantenne la parola. Divenne un’abitudine e nei giorni successivi lo accompagnarono gli amichetti. I commensali divennero circa venti. Era motivo di serenità perché mi era chiaro che era un modo per tutelare quei bambini che, pur avendo una famiglia, ne erano di fatto privi. Quel piatto di gnocchi fu l’inizio di un sogno diventato realtà» – conclude Carmela.
L’INTERVISTA
Carmela oggi sei il fulcro di un sogno ambizioso, frutto di un lungo cammino. Com’è iniziato tutto?
«Dalla finestra di casa mia vedevo il capannone di circa 16.000 metri quadri che la Cirio aveva abbandonato negli anni Ottanta. Sarebbe stato un luogo ideale per una sorta di casafamiglia ma né io, che ero un’impiegata, né altri amici avevamo soldi. Cercavo di capire di chi fosse quella struttura che, seppure fatiscente, poteva rappresentare un inizio, ed individuai il proprietario. Mi avevano detto che era una “brutta persona”, avida di danaro. Ma questo non mi fermò. Lo incontrai e, dopo avergli spiegato il progetto – un luogo per accogliere i bambini che vivevano in famiglie difficili – si rese disponibile per fittarci lo spazio. Pattuimmo sette milioni di lire al mese, una cifra importante, che il proprietario nei giorni successivi, di sua spontanea volontà, dimezzò. Tra alterne vicende, nel 2005, senza che lo avessimo mai immaginato, ci fu accordato un mutuo per l’acquisto del capannone, che ancora stiamo pagando».
Roba da far tremare i polsi. Hai mai avuto paura?
«La paura è un sentimento umano ma per me, che sono una donna di fede, è stimolo a fidarmi della Provvidenza e posso dire che non siamo stati mai abbandonati. Premetto che non sono mai stata una donna tutta casa e chiesa, anzi a sedici anni, un po’ come tanti a quell’età, lasciai definitivamente la parrocchia, dove andavo con i miei genitori, per percorrere sentieri più laici. Ma si dice che le strade del Signore sono infinite ed è vero: all’età di 26 anni mi trovai ad emettere i voti religiosi. Il mio impegno è certamente motivato dalla fede, ma spesso la trascende. Al centro c’è l’uomo, con la sua preziosità. Sono una consacrata che ha fatto voto di povertà, castità e obbedienza vivendo nel mondo. I sentieri del Signore a volte appaiono confusi ma se mi guardo indietro posso affermare che erano ben tracciati, anche nel nome che abbiamo dato all’associazione».
Che si chiama “Figli in famiglia”…
«Devo confessare che il nome è stata un’idea di Gianni, uno dei miei primi compagni di avventura. Non mi convinceva affatto. Ma devo ammettere che, dopo anni, mi sono resa conto che rispecchia l’essenza più profonda della nostra opera. Un luogo dove la porta è sempre aperta, dove nessuno si sente respinto, una casa per una famiglia che ha tanti figli, una famiglia di famiglie perché, oltre ai ragazzi, questa è la casa di tante mamme e papà».
Che vengono a fare?
«Vengono a stare in famiglia, di cui c’è tanto bisogno. Facciamo il doposcuola per i bambini e i ragazzi. Tanti di loro vengono a pranzo e rimangono con noi fino a sera. Se la Provvidenza ci aiuterà, e sono sicura che lo farà, a breve saremo in grado di offrire anche la cena. Facciamo teatro, laboratori, serate. Abbiamo una palestra, aperta a tutti, dove in tarda mattinata arrivano molte mamme dei figli che ospitiamo qui. Negli ultimi due anni abbiamo lavorato più del solito per dare aiuto a tutte le famiglie colpite dal covid. Ora ci stiamo mobilitando per la popolazione ucraina».
Qualche giorno fa è stato presentato un libro – intervista dal titolo “Una storia di Provvidenza” e don Mimmo Battaglia, arcivescovo di Napoli, nella prefazione ha scritto: «Una di queste basiliche, fatte di sguardi, di parole, di volti, di storie e di nomi spesso invisibili agli uomini ma non a Dio l’ho trovata a San Giovanni a Teduccio, nella zona est di Napoli, una terra bellissima, accarezzata dal mare e ferita dall’uomo […] è nella Basilica di “Figli in Famiglia” che ho incontrato Carmela, una donna semplice e forte, madre di tanti bambini, riferimento per molti giovani, ultima spiaggia per i troppi disperati».
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il 5 marzo 2020, ha nominato Carmela Manco Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana per il suo impegno civile e sociale.
TRATTO DA MAGAZINE INFORMARE
N°230 – GIUGNO 2022