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INTERVISTA. Avamat: la giovane produzione napoletana

Marianna Donadio 12/10/2022
Updated 2022/10/11 at 4:19 PM
4 Minuti per la lettura

L’ingresso nel mondo del cinema è un obiettivo tanto ambito quanto apparentemente irraggiungibile per chi è nuovo al suo interno. Troppe volte ci sentiamo dire che è quasi impossibile farsi strada senza conoscenze o colpi di fortuna. Eppure esistono delle alternative. A Napoli sono diverse le piccole produzioni pronte a guidare ed indirizzare giovani cineasti alle prime esperienze, una di queste è Avamat. Abbiamo intervistato uno dei suoi fondatori e principale regista, Emanuele Matera, per capire come superare gli ostacoli che può incontrare lungo la sua strada una casa di produzione autonoma e autofinanziata.

Come è nato il progetto Avamat e in cosa consiste?

«In realtà il progetto Avamat ha avuto due nascite. Inizialmente eravamo solo in tre e scrivevamo per il teatro, ci chiamavamo Fuoriscena. Poi abbiamo iniziato a girare la serie web Neapolitan horror stories, composta da corti incentrati sulle leggende di Napoli. Così abbiamo iniziato ad implementare le attrezzature e a raggiungere un processo di produzione semiprofessionale, accademico. I ragazzi che vengono qui hanno la possibilità di iniziare a lavorare con un’attrezzatura un po’ più pesante, perché sia nella fotografia che nella regia oltre al talento la differenza la fanno gli attrezzi».

Quali sono i principali problemi a cui va incontro una casa di produzione autonoma e come li state affrontando?

«I principali problemi sono i finanziamenti e la distribuzione. Per la distribuzione bisogna avere conoscenze nel campo. Essendo indipendenti e non avendo contatti stretti con altre società, è una delle prime difficoltà che ci si ritrova ad affrontare. Però con il tempo e l’esperienza si riescono a creare canali di distribuzione, principalmente attraverso i festival».

Che importanza ha il ruolo dei festival nel vostro campo?

«Quando si parla di cortometraggi i festival sono tutto. Si potrebbe pensare alla distribuzione nei cinema, ma è quasi impossibile. Una volta quando c’era più affluenza, con una maggiorazione di cinquanta centesimi o un euro sul biglietto, veniva proiettato un corto di 5-10 minuti prima del film. Oggi tendenzialmente non si fa più. Anche sulle piattaforme come YouTube negli ultimi anni è sempre più difficile farsi notare. L’unico modo di guadagnare visibilità con i cortometraggi è attraverso i festival, vincendo o arrivando in finale».

Parlaci del vostro ultimo progetto…

«Il nostro ultimo progetto è stato Tic Toc, un corto girato in verticale scritto e diretto da me. È stato pensato apposta per una distribuzione in verticale dato che rappresenta un cinema nascente, quasi d’avanguardia se vogliamo definirlo così. Noi stiamo producendo questa web series di storie verticali, di cui fa parte Tic Toc, composta da poche pagine di sceneggiatura e dalla durata di pochi minuti. Siamo felici che in Italia stiano nascendo festival dedicati solo al cinema in verticale, siamo uno tra i primi paesi in Europa a farlo. Uno dei festival con cui siamo in contatto e a cui ci siamo iscritti è il Vertical Movie. È una cosa che vogliamo portare avanti, vorremmo creare una linea di produzione che viaggi in parallelo con i corti in orizzontale più elaborati».

Quali sono, invece, i progetti per il futuro?

«Stiamo tastando il terreno per delle co-produzioni per un corto scritto da me che tratta di metacinema. Per il resto l’ambizione è girare lungometraggi, sia come produzione che poi magari in futuro come piccola distribuzione».

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