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INTERVISTA. Antonella Leardi: “L’odio nello sport non è mai giustificato”

Gennaro Alvino 15/03/2023
Updated 2023/03/15 at 12:07 PM
5 Minuti per la lettura

Faceva molto freddo lungo quella strada verso Genova ed i tifosi partenopei si erano già preparati per assistere alla sfida in trasferta contro la Sampdoria. Il Napoli stava di certo regalando grandi emozioni in campionato e nonostante la recente sconfitta contro l’Inter, i supporters azzurri accorrono numerosi verso la sfida del Ferraris. Erano da poco passate le 13 lungo l’autostrada A1 di quella domenica 8 gennaio quando nella stazione di servizio di Badia al Pino, vicino Arezzo, parte un violento scontro fra tifosi del Napoli e supporters della Roma diretti invece verso Milano per la sfida contro il Milan.

Secondo quanto riferito dalle fonti della Polizia, i tifosi del Napoli una volta riconosciuti i romanisti avrebbero iniziato a lanciare oggetti contro le macchine dei tifosi giallorossi in transito lungo l’autostrada. A loro volta i sostenitori della Roma avrebbero quindi fermato le auto per rispondere alle provocazioni, iniziando così gli scontri

«Sono scesi dalle auto in mezzo all’autostrada, tutti incappucciati e vestiti di scuro. Avevano bastoni e lanciavano petardi e fumogeni verso l’area di servizio», hanno detto alcuni testimoni. Forse un appuntamento già stabilito da tempo o forse un tremendo agguato teso da parte dei tifosi partenopei che mai hanno perdonato i romanisti per l’omicidio di Ciro Esposito nel 2014. Rimane ancora infatti una ferita insanabile la morte del giovane tifoso azzurro rimasto ferito durante gli scontri avvenuti in viale Tor di Quinto a Roma il 3 Maggio 2014, a poche ore dalla finale di Coppa Italia fra Napoli e Fiorentina.

Ciro Esposito rimase irrimediabilmente ferito da alcuni colpi da arma da fuoco sparati dall’ultras giallorosso Daniele De Santis, già noto alle forze dell’ordine per precedenti risse e per aver fatto sospendere il derby nel 2004 diffondendo la falsa notizia di uno scontro mortale fra tifosi e polizia all’esterno dello stadio Olimpico.

L’odio non è giustificato

Magazine Informare ha così deciso di parlare con Antonella Leardi, madre di Ciro Esposito, per chiederle come mai i tifosi azzurri abbiano deciso di non seguire il messaggio di pace da lei sempre diffuso. «Purtroppo, il cuore dell’uomo è insanabilmente malvagio. Noi uomini non siamo sempre buoni per natura: alcune persone se vengono aggredite tendono istintivamente a rispondere a questa offesa. Vorrei tanto che il cuore dell’uomo sapesse perdonare e accogliesse il messaggio di non violenza che ho sempre cercato di trasmettere». L’odio però, secondo la Leardi, non è mai giustificato e, anzi, prontamente si schiera contro chi usa il nome di Ciro per giustificare la propria violenza.

«Il giorno del funerale di Ciro io ho chiesto che nessuno si dimenticasse del nome di Ciro perché mio figlio è morto in pace di Dio ma non voglio ora che il suo nome sia strumentalizzato per motivare altri agguati e altre violenze. Io posso anche capire che a tanti napoletani la questione di mio figlio bruci tanto poiché Ciro era un fratello partenopeo. Tutti questi ragazzi hanno sentito l’omicidio di Ciro forte sulla propria pelle poiché sanno che al posto di mio figlio poteva esserci chiunque di loro in quanto napoletano. Tuttavia, queste persone usano il nome di Ciro per giustificare la propria violenza dimenticando però che mio figlio è stato vittima di questa stessa violenza».

Combattere contro la violenza

Nonostante però il tanto dolore, Antonella Leardi, si è mostrata fin dal primo giorno una donna straordinariamente forte e capace ancora di amare. Da questo suo amore nasce allora l’Associazione Ciro Vive per tenere ancora vivo il ricordo Ciro Esposito e per poter coltivare ancora la speranza di diffondere un messaggio di pace e non violenza, soprattutto tra i giovani. «Io continuo a “combattere” metaforicamente per prevenire la violenza: incontro spesso bambini o adolescenti e vorrei tanto entrare nel cuore di questi ragazzi per riuscire a donargli qualcosa. Io di certo non sono una loro maestra, non è il mio lavoro. La mia è piuttosto una missione: riuscire ad arrivare al cuore anche di un solo ragazzo è per me una grandissima vittoria. È quindi per me importante portare questo messaggio di non violenza e di rispetto per l’altro»

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