Alessandro Genovesi CGIL

INTERVISTA. Alessandro Genovesi: “Gli operai muoiono come mosche”

Elisabetta Rota 03/02/2023
Updated 2023/02/03 at 3:38 AM
5 Minuti per la lettura

Più formazione e più consapevolezza, il lavoro non è un problema individuale e il lavoratore non deve affrontarlo da solo. Questo è il pensiero di Alessandro Genovesi emerso dal suo intervento tenu­tosi al 6° Congresso Regionale Fillea Cgil Campania. «Gli operai muoiono come mosche per l’ipersfruttamento» afferma, ci vuole qualcuno che li tuteli e li coinvolga; con lui abbiamo parlato proprio di questo.

Lo slogan di questa edizione del Congresso cita: “più contrattazione e più rappresentanza sono uguali a più democrazia.” Secondo lei il sinda­cato sta affrontando una crisi di rappresentanza?

«Assolutamente sì, c’è una crisi di rappresentanza sia dei corpi politici, istituzionali che sociali. È una crisi dovuta al fatto che vent’anni e più di cultura “liberista” sull’individualismo hanno portato a vedere il lavoro come un problema individuale. C’è anche un problema di aggiornamento della strumentazione, oggi la contrattazione è tanta sia a livello qualitati­vo che quantitativo. Ma la contrattazione è un fatto collettivo: i lavoratori contrattano insieme per rivendicare condizioni e posti di lavoro migliori. Tutto ciò produce democrazia, dunque noi conteniamo questi tre temi che, però, crollano se manca la partecipazione».

È possibile trovare nuovi modi per aggregare i cittadini che non par­tecipano alla vita dei sindacati perché vedono la scarsa incisività della politica sui problemi reali?

«Va attivata la partecipazione capendo i bisogni di coloro che vogliamo rappresentare. La risposta non è nell’atto individuale bensì nell’azione collettiva. Vanno capiti i bisogni di chi ci segue e mostrare loro dei risul­tati, dobbiamo mettere in gioco la nostra organizzazione e i nostri stru­menti per far sì che le persone si fidino di noi».

Pensa che il sindacato oggi abbia un ruolo incisivo sulle scelte sociali del paese?

«Potrebbe averlo, dipende molto da cosa si intende per sindacato. Se una persona si iscrive per poi delegare tutto ad un professionista, non si potrà fare molta strada. Se l’iscrizione, invece, è intesa come un insieme al quale partecipare e per il quale metterci qualcosa di proprio, allora si può co­struire una strada. Mai come oggi c’è bisogno del sindacato, la situazione del lavoro, tra precariato e incertezza, ha bisogno di cambiare».

L’edilizia sta diventando una terra senza regole né controlli, in Campa­nia e in Piemonte 7 aziende su 10 presentano irregolarità di varia natu­ra. Si tratta soprattutto di lavoro a nero, cosa ne pensa?

«Prima di tutto va specificato che l’edilizia non è l’unico campo in cui l’in­cidenza del lavoro a nero è così alta, basti pensare all’agricoltura o ai ser­vizi alla persona. Stiamo assistendo ad un fenomeno di emersione, il Mi­nistero del Lavoro stima 350.000 i lavoratori a nero in edilizia, noi di Cgil ne stimiamo 100.000. Sono numeri alti ma non bisogna dimenticare che si tratta di cittadini e soprattutto lavoratori che non vanno condannati».

E per quanto riguarda le misure di sicurezza non idonee? La Campania è terza in Italia per morti sul posto di lavoro.

«È il caso di introdurre il reato di omicidio sul lavoro. In Italia esiste l’ag­gravante per omicidio stradale ma assurdamente se assumo qualcuno senza fornirgli una formazione, senza assicurare norme di sicurezza ade­guate e magari a nero, non subisco aggravanti».

Non solo criminalità e disoccupazione, San Giovanni a Teduccio così come Scampia ha subito un salto di qualità grazie alle sedi della Federi­co II. Il sindacato ha dei piani anche per le periferie?

«Sicuramente sì, vogliamo ripensare le politiche del territorio, avviare una rivitalizzazione portando servizi, lavori e assistenza. Oggi va di moda la “città dei 15 minuti” sul modello francese, ovvero ogni cittadino in 15 minuti dovrebbe riuscire a raggiungere un’area verde, una scuola, una far­macia o un mezzo di trasporto pubblico. In Italia andrebbe bene anche se tutto ciò fosse a 30 minuti, perché al momento è completamente assente. Il problema è che non tutti i cittadini possono ritenersi tali e purtroppo questo dipende anche dal luogo in cui vivono.

Questa è la vera sfida, disegnare spazi fisici e sociali nel territorio co­struendo alleanze».

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