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Informare incontra Enio: il disegnatore di periferia si racconta al Magazine

Valeria Marchese 22/04/2022
Updated 2022/04/22 at 10:40 AM
7 Minuti per la lettura

Informare incontra Enio. La giovane promessa dell’arte campana si racconta per il Magazine e presenta la sua nuova opera “Alma”. Il percorso, le difficoltà e i limiti di un ragazzo di periferia che insegue un sogno: il disegno come forma pura di espressione.

Qual è stato il tuo percorso? 

«Ho frequentato il liceo artistico e contemporaneamente arrivavano commissioni private, anche di grande valore: sono la persona più giovane ad aver realizzato un’opera pubblica a Caivano, nella Chiesa di Casolla.

A seguito del diploma ho frequentato la Scuola Internazionale di Comics ad indirizzo illustrazioni e arti figurative».

A chi ti sei ispirato durante gli anni della tua formazione? 

«Al percorso dei grandi. A chi ha avuto il coraggio di provarci anche in un contesto dove non c’era assolutamente nulla, come una vera ginestra leopardiana.

Lo scopo di un’esistenza limitata è quello di lasciare un segno del nostro passaggio sulla terra, e lo si può fare solamente se a certi problemi riconosciamo altrettante soluzioni.

E’ attraverso il percorso dei grandi che riconosciamo che alcune difficoltà che ci vengono poste dagli adulti della nostra vita, come il perseguimento di certezze che in realtà non esistono, sono in realtà vane».

I tuoi punti di riferimento?

«Sono estremamente vicino all’arte rinascimentale e alla figura di Leonardo Da Vinci, trovo che rappresenti a pieno l’ideale di intellettuale: contribuisce liberamente al mondo attraverso la ricerca e la scienza. E’ il ricercatore che mette in dubbio credenze, formula ipotesi, crea, esce completamente dai margini…»

Come vivi il fatto di essere un artista in una città difficile?

«E’ vero, sono un ragazzo di provincia. Non ti nego che è stato difficile nel corso degli anni far combaciare questi due aspetti; senza che tu debba reputarlo un atto di presunzione, ma trovo che a volte sia molto faticoso farsi comprendere e confrontarsi, specialmente nel momento in cui hai ambizioni che puntano molto più in alto rispetto a quelli che sono gli obiettivi maggiormente diffusi».

Come ne sei uscito? 

«Sono partito da un profondo lavoro su me stesso e sulla mia mentalità, focalizzandomi su quegli aspetti di “limite” che avevano sempre caratterizzato la mia vita. 

Con questo non intendo attribuire alla periferia un’accezione necessariamente negativa, diciamo che ha i suoi pro e i suoi contro».

Il disegno diventa in questo caso un punto d’unione o di distanza? 

«In realtà varia a seconda dei contesti. Considero il disegno come una sorta di medium tra me e le persone, specialmente quando ci attiviamo in settori artistici differenti. Credo che nel momento in cui la finalità ultima è la stessa, le differenze artistiche si annullano. 

Il disegno diventa il mio punto di incontro anche con chi scrive poesie, se entrambi perseguiamo lo stesso obiettivo».

Quanto è importante il confronto per te? 

«Quando porti avanti dei progetti creativi personali le difficoltà sono sempre in aumento, così come il peso delle aspettative e la responsabilità. Tutto questo con il tempo può diventare molto frustrante se non hai creato intorno a te un gruppo di persone che comprende il tuo valore e ha il tuo stesso mindset. Nel lungo termine avrà dei benefici non solo a livello “professionale”, ma anche sul piano umano: ci sentiamo supportati e compresi».

Il concetto di obiettivo ritorna molto nei tuoi discorsi, qual è il tuo?

«Ho 24 anni e il mio obiettivo è la diffusione dell’arte come mezzo di sensibilizzazione per affrontare le problematiche sociali proprie del mio quartiere. Inoltre, con l’aiuto delle persone che conosco ritengo fondamentale il supporto della comunità per cambiare le cose a Caivano e nella periferia.

Le difficoltà mi spronano ad andare avanti, a fare di meglio. Fare arte è una sfida che prevede il superamento di determinati limiti e preconcetti, valicando anche le soglie della sfiducia: tendenzialmente cerco situazioni di insicurezza per mettere in gioco la mia autostima».

I giovani del tuo territorio come si approcciano all’arte? 

«In linea generale sono molto scoraggiati, si chiudono in sé stessi perché non riconoscono i propri interessi in quelli predominanti. E’ un atteggiamento che porta a rinnegare la propria attitudine. In realtà bisognerebbe avere la sfacciataggine di venire alla luce e dire: questo sono io, so fare questo e voglio farlo vedere agli altri».

Come è nata Alma? 

«E’  nata durante il periodo di restrizioni Covid. Mi sono sentito castrato dal punto di vista artistico, creativo e sociale, come rinchiuso perennemente in una situazione opprimente. 

Grazie ad un cliente, che è un imprenditore edile, ho avuto la possibilità di avere uno studio e lavorare pienamente all’opera. Diciamo che Alma è il mio tentativo di esorcizzare la parte brutta di quel periodo, sancisce la mia ripresa con un rapporto più intimo per il disegno».

Giorno 0 di Alma. Da cosa sei partito?

«L’evento più rilevante è stato sicuramente il mio primo viaggio dopo il lockdown. Sono stato a Vienna, una città che mi ha completamente cambiato».

Come mai questo titolo? 

«Solitamente viene ricondotto al latino almus,  “nutrire”), un vocabolo che fu epiteto di varie divinità romane (come Venere, Cerere e Maia) e che aveva in origine il significato di “che nutre”, “che dà vita”, acquisendo poi anche il senso di “che fa del bene”, “gentile”. Ho scelto questo nome perché riconduce agli attributi che volevo trattare nell’opera. Rimane il fatto che è stata mia volontà usare un significato che rimane comunque non legato al contesto classicista di alcuna divinità o religione; bensì anche agli attributi di coraggio che ho trovato in donne storicizzate come la prima partigiana Alma Vivoda a cadere in guerra. Simbolo di resistenza, capace di opporsi e sacrificare la propria vita per un ideale. Il mio soggetto può essere un ideale di quest’epoca, un esempio di tante donne e non. Ciò che mi riguarda è il desiderio di averla partorita dalla mia volontà, ed il desiderio di mostrarla come esempio in tutti i suoi difetti, più che immagine perfetta».

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