Al Suwayda, è il 17 agosto, un gruppo di manifestanti che si identifica sotto il nome di “Movimento del 10 agosto” si riunisce e ridà fuoco alle proteste contro il regime di Bashar al Assad, in Siria. Secondo il sito Al Modon il gruppo dovrebbe essere diverso da quelli delle proteste del 2011 che furono caratterizzate dalla grande forza con la quale si svolsero e dalla terribile repressione che ne seguì. I disordini sono successivamente iniziati anche nella vicina città di Dar’a, nella quale nel 2011 iniziarono le prime violente proteste.
Le rivolte sono iniziate in seguito alla decisione del regime di aumentare i costi del carburante eliminando i sussidi previsti per l’acquisto e al crollo della lira siriana, da inizio anno la moneta si è svalutata fino a raggiungere la situazione attuale, al momento un dollaro viene scambiato sul mercato nero con circa 14mila lire siriane. Secondo le Nazioni Unite il 90% della popolazione vive in povertà.
Oggi le proteste hanno assunto una connotazione umanitaria e politica. I manifestanti chiedono verità per le numerosissime persone scomparse nell’ultimo doloroso decennio e si ribellano apertamente al dittatore Bashar al Assad cercando di scacciarlo.
Guerra e proteste sono la normalità per la Siria
Nel nord di Suwayda, dei manifestanti di etnia drusa danno alle fiamme alcuni manifesti di Assad e chiedono la liberazione della Siria. Le loro azioni sono culminate con l’ingresso nella sede cittadina del partito Baath di Assad, dopo aver scacciato i vari funzionari e sigillato le porte, i manifestanti hanno scritto slogan antigovernativi sui muri dell’edificio. I drusi fino ad oggi sono rimasti ai margini del conflitto siriano, pur venendo discriminati e attaccati da quasi tutto il mondo arabo che li considera eretici. La maggior parte di tale minoranza vive a Suwayda, capoluogo del Governatorato di As-Suwayda che confina a nord con quello di Damasco e a ovest con quello di Dar’a.
Proprio in quest’ultimo iniziarono le proteste del 2011 dopo lo scoppio delle “primavere arabe” che si ebbero in Tunisia, Egitto e Libano. In seguito all’arresto e alla tortura di alcuni ragazzi che avevano coperto muri con scritte che inneggiavano alla liberazione della Siria, molti manifestanti sono scesi in piazza per contrastare il regime del dittatore Bashar al Assad. Dopo scontri tra la popolazione e le forze governative, nella seconda metà del 2011 i rivoltosi si organizzano nell’Esercito siriano libero (ESL). Inizia una guerra civile che va avanti ancora oggi e che non accenna a placarsi nonostante le violente repressioni condotte dagli uomini di Assad. Secondo Amnesty International 13mila persone sono state uccise nella prigione di Sednaya vicino a Damasco, altre 17.700 uccise nelle altri carceri del regime. Le azioni di Assad hanno portato alla morte di circa 500mila civili, più di 5,5 milioni di siriani è fuggita all’estero (per la maggior parte in Turchia, dove subisce gravi discriminazioni, sono vari i reportage di Human Rights Watch che parlano di violenze della polizia di frontiera turca nei confronti dei migranti siriani) e più della metà dei 23 milioni di siriani ha dovuto abbandonare le proprie case.
Un quadro della Siria
Il partito Baath di Assad è un partito nominalmente di ispirazione laica, che fa del panarabismo e del socialismo arabo i suoi capisaldi. La fondazione risale al 1940, il carattere della laicità è stato reso preponderante dalla eterogeneità dei suoi tre membri fondatori: Michel Aflaq cristiano, Salah al-Din al-Bitar sunnita e Zaki al-Arsuzi alawita. Dopo la scissione nel 1966 una corrente guidata da Hafiz al-Asad, padre di Bashar, si diffonde in Siria, principalmente socialista panaraba, e una guidata da Saddam Hussein in Iraq, definibile quasi come “fascismo arabo”. Oggi i dirigenti del partito sono tutti alawiti, una branca dello sciismo, principale ramo minoritario dell’Islam, enormemente preponderante in Iran, ma minoranza in Siria. La questione religiosa è spesso di primaria importanza nelle società arabe e nel sistema di alleanze dei vari paesi. L’Iran è un grande alleato del regime siriano e contribuisce con armi e forze schierate sul territorio, inferiore, ma comunque importante è il coinvolgimento di altri due grandi Stati sciiti come Iraq e Afghanistan. A sostegno dei ribelli si schierano Turchia, Arabia Saudita e Qatar, più ricchi e a grande maggioranza sunnita.
Due dei tre fondatori del baathismo, Michel Aflaq e Salah al-Din, si conobbero in Francia, alla Sorbona, l’influenza dei partiti comunisti imperanti durante la Terza Repubblica francese influenzarono grandemente i due primi leader. La voglia di ribellione dei siriani contro il colonialismo francese permise la diffusione delle teorie rivoluzionare socialiste e panarabe che venivano promulgate dal neonato Baath, culminando nell’indipendenza dalla Francia nel 1946. Chiaramente l’ispirazione non potè che essere l’Unione sovietica, dall’URSS la Siria ha ereditato la programmazione economica che si porta fino ad oggi. I piani quinquennali, l’accettazione della proprietà privata, ma il contrasto al liberalismo e al pluripartitismo, il tentativo di attuare una modernizzazione avente come pilastro il nazionalismo e socialismo arabo. Sono ancora dei principi molto diffusi nelle società arabe, che i dittatori come Assad o Hussein hanno utilizzato per mascherare i propri crimini. La Siria è storicamente supportata dall’Iran, che mira a divenire guida e guardia di tutti gli sciiti dell’area araba, e dalla Russia, che cerca di espandere la propria sfera di influenza e il proprio stile di vita nell’area.
Il governo di Mosca ha da sempre nel mirino l’alleanza e il dominio di Stati come la Siria dotati di sbocchi sul Mediterraneo. La Russia supporta le forza governative e in cambio ottiene l’influenza sui porti di Latakia e Tartus. Anche se da sempre costituiscono due roccaforti del governo di Assad, anche queste sono state investite dalle recenti proteste. I due porti sono di vitale importanza per le navi che arrivano in Grecia, Algeria e Sud Italia. La principale merce contrabbandata è il Captagon, una anfetamina a bassissimo costo che causa dipendenza la cui esportazione finanzia le armi dei governativi.
Al contrario le forze ribelli sono supportate da Stati Uniti, Francia, Inghilterra, Turchia, Qatar, ma soprattutto Arabia Saudita. Se gli Stati Uniti sono interessati a contrastare l’azione russa nell’area e supportano chiaramente i ribelli, ciò che interessa all’Arabia Saudita è diventare il nuovo leader della zona araba. La riammissione della Siria nella Lega Araba a maggio di quest’anno, dopo l’esclusione nel 2011 in seguito alla violenza della repressione delle proteste, va chiaramente in questa direzione. Il governo di Damasco si era impegnato a combattere l’esportazione di Captagon, a creare le condizioni per il ritorno dei milioni di profughi siriani dislocati in Giordania, Libano e Turchia e a dialogare con i manifestanti. Nessuna di queste condizioni è stata rispettata, ma Mohammad bin Salman qualche anno fa ha affermato la sua volontà di rendere il Medio Oriente “la nuova Europa”, dichiarando “questa è la guerra dell’Arabia Saudita. Questa è la mia guerra. Voglio vedere il Medio Oriente in cima al mondo prima della mia morte”. Giova ricordare che l’Arabia Saudita è uno Stato che viola i diritti umani.