Ciro Palumbo è un pittore visionario che spazia dalla pittura alla scultura e murales. Un artista contemporaneo in voga e di successo. Classe 1965, nasce a Zurigo e attualmente vive e lavora a Torino. In lui c’è una genialità che rende familiare e riconoscibile la sua arte.
Comincia a dipingere sulle orme della scuola metafisica di G. De Chirico e Alberto Savinio per poi sviluppare una poetica del tutto personale, una poetica che vede al centro delle sue opere oggetti e personaggi avvolti nella materia misteriosa del sogno. Ci sono simboli, ci sono immagini che portano a riflettere sulla realtà abitata dall’uomo. Poi la sua curiosità di studioso e ricercatore lo porta anche ai temi della mitologia classica rivelandone la loro attualità e la capacità di interpretare il presente. Ha al suo attivo centinaia di mostre ed esposizioni dalla biennale di Venezia, alla Artexpo di New York o il Context Art di Miami e non si ferma. La nostra chiacchierata ci dà l’opportunità di conoscerlo meglio ed è anche l’occasione per fare il punto sul ruolo dell’arte in un periodo che ha sconvolto tutte le nostre certezze.
Fino al 15 gennaio 2022, la Galleria d’Arte il Punto sull’Arte a Varese, ospiterà la tua nuova mostra personale dal titolo “Paesaggi Improbabili”: un tema suggestivo e mistico, un viaggio dentro gli spazi della mente? Cosa rappresentano esattamente questi paesaggi?
«Questa mostra è un viaggio infinito. Attimi colti nella notte, visioni e apparizioni che diventano appunti sulla tela. Sono paesaggi della mente, ma anche del cuore».
La scultura, pezzo unico in ceramica presente alla mostra, restituisce in tre dimensioni uno dei temi a te più cari: l’isola rocciosa, che in questo caso porta sopra di sé alcuni degli oggetti-simbolo del tuo lavoro come il tempio, la casa e le stelle. Ti porti dietro da sempre l’ossessione dell’isola, è un punto di approdo o un naufragio dell’anima?
«L’isola nasce come approdo, ma nel tempo è stato luogo di partenze e ritorni. Sono i diversi momenti della vita di ognuno di noi e, forse, più in generale dell’esistenza. Essa nasconde un microcosmo che è il nostro piccolo mondo prima e dopo le gioie o i disastri. L’isola ha senso perchè “Improbabile”».
Nelle tue tele troviamo colori caldi, contrasti forti, la tua pittura è emozionale grazie alla cromia, come sviluppi le tue idee?
«È un lungo lavoro che a volte si conclude in pochissimo tempo. Non è una contraddizione, ma un dato di fatto. È nello studiare, nel provare, nel rifare e poi ancora, che trovo la lunghezza del tempo, poi però l’esperienza ti porta a risolvere un quadro in tempi ragionevoli».
Cosa sta succedendo all’arte in questi anni sconvolti dalla pandemia?
«È una analisi che comporta conoscenze che spaziano tra mercato dell’arte, arte e comportamento, arte e società… Ciò che ho vissuto e sto vivendo è la possibilità, l’opportunità e la gioia di incontrare ancora la poesia e non intendo solo quella delle parole scritte (fondamentale) ma un modello comportamentale, un modo diverso di vivere la vita e ciò che ci presenta. Ogni momento difficile nasconde una opportunità. Durante la “chiusura” io ho lavorato molto».
Quali sono i tuoi progetti futuri?
«Ci sono diverse cose sul mio Tavolo delle idee. Ho concluso un lavoro che ho cominciato a fine 2019, dedicato al concetto di Infinito, partendo dalla toccante opera di Giacomo Leopardi. Si tratta di un ciclo pittorico e una importante edizione di lusso in cofanetto che uscirà nei prossimi mesi. Avrò una mostra a Bologna in aprile, dove mi sono ritrovato a “dialogare” con un altro dei miei ideali maestri: Giorgio Morandi. In calendario ho un evento importante sul progetto Homo Viator, che ha visto già due momenti (Roma – Stadio di Domiziano; Taormina – Chiesa di San Domenico), quest’ultimo sarà a Treviso nel Museo Casa dei Carraresi a Giugno. Ovviamente diverse e più cose sono appuntate sui miei taccuini, ma poi si vedrà».
Come immagini o come vorresti che fosse il futuro dopo tutto questo?
«Non so se ci sarà un dopo, di sicuro c’è un durante e come già detto, vivo le opportunità che mi si presentano. Nel mio lavoro naturalmente lascio tracce evidenti di speranza. Sempre».