“Il tappeto di Iqbal” è una cooperativa sociale situata a Barra, uno di quei “quartieri difficili” di Napoli, quelli preferiti dai film e di cui «i giornali si lamentano», dice Giovanni Savino, presidente della cooperativa. «È facile parlare e riempirsi la bocca»; fare, invece, lo è un po’ meno. Lo sa Savino, che insieme ad una decina di operatori, intercetta ogni anno centinaia di bambini e ragazzi, e pure le famiglie, su tutto il territorio.
“Il tappeto di Iqbal”, infatti, tramite una serie di progettualità con il Comune di Napoli, Save the Children e una bella dose di perseveranza, promuove azioni educative e formative basate sull’arte e sull’aggregazione come vie alternative “ai valori della strada”: i bambini frequentano il circo sociale, imparano le pratiche circensi, si muovono tra l’Italia e l’Europa. Dalle parole di Giovanni, emerge chiaramente come la rete sociale tessuta da “Il tappeto di Iqbal” sia l’unica in grado di sorreggere una realtà che altrimenti sprofonderebbe nell’indifferenza.
Giovanni, tu sei il responsabile della cooperativa: ci puoi raccontare come siete nati?
«La onlus nasce nel 1999, dedicata ad Iqbal Masih, il bambino ucciso dalla mafia dei tappeti, perché ci saremmo occupati proprio della lotta allo sfruttamento minorile e alle mafie. Nel 2010 i fondi del progetto “Chance” vengono cancellati, con una ricaduta devastante sui territori e sui minori, perché eravamo arrivati anche in tanti altri posti, oltre a Barra e San Giovanni. Nel 2010 divento presidente della cooperativa per salvarla dalla chiusura definitiva e raduno altri 9 soci, tra gli artisti di strada che avessero compiuto 18 anni. Era un’impresa in cui non credeva nessuno.
Ora, dieci anni dopo, siamo uno dei più grandi “Punti Luce” di Save the Children Italia, intercettando 300 ragazzi ogni anno, dai 6 ai 16 anni. Per il comune di Napoli, gestiamo invece il progetto per gli adolescenti, coprendo quindi fino ai 20 anni.
Abbiamo poi altri progetti collaterali, anche a livello europeo, tra cui la formazione di una scuola superiore alternativa che contrasti la dispersione scolastica. Abbiamo vinto il bando nel 2019, ma stiamo ancora aspettando che le istituzioni si mettano in moto per avviare il progetto.
All’interno del Punto Luce utilizziamo il circo sociale, il parkour e lo sport come attività di aggregazione, ma anche l’insegnamento per la salute del corpo; mentre negli adolescenti cerchiamo poi di mettere a frutto gli insegnamenti. Abbiamo infatti creato una compagnia con i nostri ragazzi, con la quale siamo stati ad ottobre in Toscana con uno spettacolo di circo e parkour, che speriamo di riproporre, Covid permettendo».
Viste le numerose adesioni, sono i ragazzi che si avvicinano alla cooperativa oppure siete voi a cercarli sul territorio?
«Questa è la nostra tragedia. Nel 2010, quando ho cominciato, non avevamo nessun finanziamento e io dovevo andare a cercarmi tutto, i progetti e i ragazzi. Ora ho il problema contrario. Fuori alla porta c’è una lista d’attesa enorme e all’interno invece 160 iscritti. Mi piacerebbe dire che li devo cercare, perché vorrebbe dire che le cose funzionano, ma non è così. Qui a Barra, durante il lockodwn, ci siamo stati solo noi, per tutto. Grazie a Save the Children abbiamo raccolto voucher per un valore di 15.000 euro, siamo andati a casa delle persone a portare cibo, tablet, aiuti. Ormai per qualunque cosa siamo l’unico punto di riferimento, siamo diventati più di un CAF. E come facciamo a dire di no a chi entra e chiede di essere aiutato?»
Ci sono quindi delle grosse mancanze sul territorio…
«No, noi siamo proprio al posto dello Stato. Odio dirlo, ma è così. Sai, subito dopo il periodo del lockdown, si è molto parlato di come si sarebbero dovute affrontare una serie di problematiche, anche psicologiche, che i minori avrebbero riscontrato uscendo dall’isolamento. Ma fino ad ora non è stato fatto niente da parte delle istituzioni. Oggi una signora è venuta da me chiedendo aiuto per la figlia, che deve fare logopedia e in lista d’attesa è 800esima: neanche per il 2022 riuscirà ad accedere. Non ci si deve poi lamentare delle conseguenze, se non si agisce in partenza, se non si tenta di risolvere ora con questi bambini. In futuro qualche cooperativa forse sarà felice di dire che c’è bisogno di loro; il nostro sogno, invece, è che non ci sia più bisogno di noi».
TRATTO DA MAGAZINE INFORMARE
N°224 – DICEMBRE 2021