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Il servizio militare: dall’obbligo all’obiezione di coscienza

Updated 2023/05/22 at 12:46 PM
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Avete mai sentito parlare di leva militare? O anche di “naja“? Qualche giorno fa, ad Udine, si è tenuta l’adunata nazionale degli alpini dove non è mancata la presenza della premier Giorgia Meloni. Molti sono stati i temi discussi, tra cui la leva militare su base volontaria. «Sicuramente è un tema che si può affrontare come ipotesi volontaria, in alternativa al servizio civile» ha detto la Presidente del Consiglio. Anche personaggi come La Russa e Ciriani si sono espressi favorevoli ad un riavvicinamento giovanile alle cariche istituzionali.

Ma cos’è la leva militare? Il servizio militare di leva in Italia sta ad indicare il servizio militare obbligatorio (formalmente coscrizione obbligatoria di una classe, popolarmente naja). Istituito con la nascita del Regno d’Italia (1861), e confermato poi con la nascita della Repubblica Italiana (1946), il servizio militare è stato in regime operativo dal 1861 al 2004, ben 143 anni di leva obbligatoria (chiamata al compimento dei 19 anni). La leva obbligatoria italiana è stata poi abolita dalla Legge Martino del 23 agosto 2004, n. 226.

Il servizio militare nella storia

La storia del servizio obbligatorio di leva militare dura ben 143 anni e coincide con la nascita del Regno d’Italia. Tempo prima c’erano però già stati dei casi di servizio militare obbligatorio, ma solo in alcuni Stati preunitari italiani, come nel caso del Regno delle due Sicilie. A regolamentare questo servizio, non vi erano disposizioni particolari nello Statuto Albertino. In quest’ultimo c’era solo un principio generico all’art. 75 che statuiva: «La Leva militare è regolata dalla legge». Per regolamentare al meglio vari gruppi di uomini, in tempi brevi ed in luoghi differenti, furono poi emanate una serie di norme utili allo scopo.

La prima guerra mondiale mise a dura prova i giovani militari italiani ed è infatti proprio in questo periodo storico che iniziano ad emergere i primi obiettori di coscienza. Nello stesso contesto storico inizia anche a diffondersi il termine volgare “naja” che stava ad indicare la vita militare. Con la seconda guerra mondiale, e di conseguenza con il regime fascista, si osserva l’introduzione dell’istruzione premilitare che si divideva in due fasi: la prima comprendeva i maschi che avevano compiuto l’8º anno di età, fino al 18º; la seconda invece riguardava il periodo dal compimento della maggiore età fino alla chiamata alle armi del proprio servizio di leva.

La storia continua nel secondo dopoguerra e dopo la nascita della Repubblica Italiana: venne affermato nella Carta costituzionale il dovere dell’obbligatorietà del servizio, contenuto nell’art. 52 della Costituzione, ove è importante ricordare che il 2º comma dell’articolo afferma che: «Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalla legge. […]». In concomitanza, furono istituiti i centri addestramento reclute (CAR), presso i quali ci si recava per sostenere un apposito corso di addestramento e successivamente essere assegnati a una sede di servizio.

Servizio civile ed obiezione di coscienza

Con l’istituzione del servizio civile del 15 dicembre del 1972 (alternativo e sostitutivo a quello militare per chi non volesse prestare servizio armato), si vede per la prima volta una disciplina dell’obiezione di coscienza. L’opinione pubblica in questo periodo subirà una serie di cambiamenti che porteranno alla necessità di servire la propria patria, senza però offrire obbligatoriamente un servizio esclusivamente armato. Ad oggi l’art. 52 della Costituzione Italiana prevede ancora l’obbligo del servizio militare, ma solo nei modi e limiti stabiliti dalla legge. Come dicevamo, dal 2005 l’arruolamento militare rimane su base volontaria.

“Ius ad bellum” e “ius in bello”

Dopo i dovuti cenni storici è importante però fare una distinzione, non tanto per il concetto di militare, quanto per quello di guerra. Nella politica internazionale troviamo due definizioni fondamentali: “ius ad bellum” e “ius in bello“. Lo scopo è limitare la guerra ed i danni che possono derivare da essa, ma è comunque importante fare una distinzione. Nel caso dello “ius ad bellum”, si intende il diritto di fare ricorso alla guerra: questo è un concetto che vediamo soprattutto nei conflitti internazionali precedenti alla seconda guerra mondiale, quando il rapporto internazionale fra stati era per la maggior parte regolato dall’uso della forza.

Con la fine dell’epoca nazi-fascista si osservò la necessità di contenere l’uso della forza ed il bisogno di regolare le crisi ed i rapporti internazionali in maniera burocratica: nello specifico con la Carta delle Nazioni Unite del 24 ottobre 1945, avente la funzione di portare a termine questo processo. Dall’altra parte vi è invece lo “ius in bello“, diritto in guerra, o anche meglio conosciuto come diritto internazionale umanitario. Quest’ultimo (DIU) è l’insieme delle norme avente come obbiettivo la protezione delle cosiddette vittime di guerra o vittime dei conflitti armati. (Convenzione Ginevra 1864, Quattro Convenzioni Ginevra 1949, Protocolli Aja 1977).

Servizio di leva militare volontario si o no?

Se ci si volesse soffermare sul concetto di guerra giusta o sbagliata, si aprirebbe un dibattito che neanche i più grandi studiosi e politologi riuscirebbero a terminare. Nel diritto internazionale, ad esempio, esso viene applicato a prescindere dalle cause che hanno scatenato le ostilità. Nello ius in bello, tutti gli “attori” hanno gli stessi diritti e sono tenuti a rispettare gli stessi vincoli internazionali. (Carta Nazioni Unite, 1945).

In conclusione, la storia ci insegna che la guerra è sempre stata un attore onnipresente nelle relazioni internazionali. I conflitti evidenziano il dilemma della sicurezza e la necessità di istituire un apposito sistema di difesa, come quello dell’Esercito Italiano. Quindi, è giusto parlare nuovamente di leva obbligatoria su base volontaria? Forse è giusto riavvicinare i giovani ad un contesto istituzionale più ampio, probabilmente sarebbe anche interessante concedere dei periodi di prova. Ma ciò che è importante è che, qualsiasi sia l’evolversi di questa questione, il servizio rimanga su basa volontaria.

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