Nel mio ultimo viaggio in Brasile ho colto l’occasione per ritornare a Praia do Forte, una località turistica a circa 80 km da Salvador de Bahia.
La storia particolarmente interessante di questa cittadina è raccontata nel libro di Achel Tinoco, O Castelo de Wilhelm Hermann, che ripercorre la storia dell’uomo, Wilhem Hermann Klaus Peters, il tedesco, che nel 1971 acquistò una fattoria nel comune di Mata de São João i cui confini andavano dalla riva sinistra del fiume Pojuca alla riva destra del fiume Imbassaí per una estensione di circa 6.500 ettari poco meno della estensione dell’intero comune di Castel Volturno. Tatuapara, questo il nome originario dato dagli indios, era un villaggio di pescatori, con una cappella, un faro e un castello abbandonato, divenuto poi grande meta turistica di Bahia.
Su questa area grazie al il Projeto Tamar, una delle esperienze riconosciute a livello internazionale di maggior successo nella tutela ambientale della fauna marina, ed in particolare delle tartarughe, è stato realizzato un insediamento per la tutela delle testuggini in particolare le tartarugas cabeçudas, le nostre Caretta Caretta.
Ed è proprio Tamar, dove ero già stato da turista qualche anno fa, il motivo principale di questo ritorno e dove stavolta ho avuto il piacere di essere accompagnato da una guida di rilievo, il biologo Paulo Lara, indicatomi dalla doutora Neca Marcovaldi, Diretora Nacional Conservação e Pesquisa Fundação Projeto Tamar, con la quale avevo in precedenza scambiato alcune mail per anticiparle la mia venuta spiegandone i motivi.
Dopo i saluti di rito, ho raccontato a Paulo la sorpresa vissuta durante la nostra scorsa estate (in Brasile è ora estate) a Castel Volturno dove nessuno avrebbe mai immaginato che vari esemplari di tartarughe potessero giungere sulle spiagge per la deposizione delle uova a causa del degrado ambientale del litorale. Ma grazie all’operato di differenti associazioni ambientalistiche locali, che combattono ogni giorno dell’anno per tenere pulite le spiagge, questo miracolo è potuto accadere con un esito inaspettato la nascita di tante tartarughine.
Dopo aver mostrato a Paulo foto e video dell’evento, sono rimasto colpito dal suo commento spontaneo che riporto qui integralmente “Que legal. Realmente é um litoral muito diferente do nosso aqui. Sucesso as tartarugas italiana ” di cui non credo sia necessaria la traduzione.
Dopo questa chiacchierata iniziale, Paulo mi ha accompagnato lungo il percorso turistico spiegandomi che alla fine degli anni ’70 in Brasile non esisteva ancora un impegno specifico riguardante la salvaguardia del mare. In particolare, pur essendo le tartarughe già a quel tempo considerate fra le specie in via di estinzione, era serio il pericolo che esse correvano a causa della cattura accidentale durante le attività di pesca, dell’uccisione delle femmine e della conseguente raccolta di uova sulle spiagge.
Nel 1977 un gruppo di studenti della Facoltà di Oceanografia dell’Università Federale del Rio Grande (FURG) nel corso di una spedizione scientifica ad Atol das Rocas trovarono segni e tracce sulla sabbia senza capire a cosa fossero dovute. Decisero di scoprirlo e dopo vari appostamenti notturni compresero che erano prodotte dalle tartarughe che salivano sulla spiaggia per deporre le uova, durante l’alba. In una di queste notti, i pescatori che li accompagnavano ne uccisero undici esemplari.
Le immagini scioccanti, riprese e poi inviate all’Agenzia Federale per l’Ambiente, rappresentarono un monito per tutti affinché si pensasse ad interventi urgenti per salvaguardare l’ecosistema marino.
Così, nel 1980, venne creato il Projeto Tamar acronimo che deriva dalle sillabe iniziali delle parole Tartaruga Marina, una abbreviazione necessaria per il poco spazio a disposizione per le iscrizioni sulle targhette metalliche utilizzate nell’identificazione delle tartarughe contrassegnate per le varie ricerche.
Nel 1988, nell’ambito di questo progetto, venne creata la Fundação Projeto Tamar per sostenere il lavoro di conservazione e ricerca, che divenne un modello da seguire per altri progetti in Brasile e nel mondo, soprattutto per il convolgimento diretto delle comunità costiere per un lavoro socio-ambientale.
In ogni spiaggia tutelata dal Projeto vi sono pali numerati che indicano un nido in modo da evitare che le persone si avvicinino spaventando le femmine che facilmente possono abbandonare il nido.
Fra le altre minacce, una delle principali è l’illuminazione artificiale che può alterare il ciclo di vita delle tartarughe spaventando le femmine e disorientando i piccoli nel raggiungere il mare.
L´utilizzo di lampade a bassa intensità opportunamente direzionate è una soluzione che ha portato ad ottimi risultati.
A partire dagli anni ’90 si è anche iniziato a lavorare al fine di evitare la cattura accidentale di tartarughe nelle diverse modalità di pesca. Alla fine di quegli anni, infatti, la pesca era già stata identificata a livello internazionale come la più grande minaccia per le tartarughe marine. Da allora, i ricercatori hanno prosposto strategia alternative per salvaguardare l’ambiente marino con una pesca sempre più responsabile e sostenibile al livello ambientale.
Fra le cose piú tecniche di cui Paulo ha parlato mi ha colpito la considerazione sul sesso delle tartarughe che non è determinato da fattori genetici (i famosi cromosomi X e Y) bensí dalla temperatura del nido in cui sono covate le uova, esistendo una soglia di temperatura, temperatura pivot, alla quale il numero di maschi e di femmine è uguale. Gli studi indicano che a temperature inferiori le covate generano molti più maschi e viceversa a temperature elevate vi è una prevalenza femminile. Dunque le condizioni climatiche durante l’incubazione influenzano la proporzione di maschi e di femmine ed in questa ottica, il riscaldamento globale può alterare gli equilibri riproduttivi naturali e metterne a rischio la sopravvivenza.
Al termine di oltre due ore trascorse visitando il bellissimo acquario esistente e ascoltando le spiegazioni di un uomo appassionato del proprio lavoro, ci siamo salutati ripromettendoci di continuare su un percorso di cooperazione con le associazione locali, Domizia in primis, nello scambio di informazioni e consigli per far si che il lavoro iniziato quest´anno a Castel Volturno possa essere non velleitario ma fondato su basi concrete.
Bruno Marfé