Il 20 marzo è stato pubblicato un nuovo rapporto dell’IPCC, il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico dell’ONU. Si tratta del 6° Assessment Report pubblicato tra 2021 e 2022. In circa 35 pagine, ci sono riassunte le scoperte degli ultimi otto anni di scienza climatica. E, come si può immaginare, non sono troppo positive. Negli ultimi anni, gli scienziati ambientali hanno avuto un bel da fare nel tentativo di convincere l’opinione pubblica mondiale che il cambiamento è una minaccia reale. Ad oggi, grazie ai progressi scientifici da un lato e alle innegabili catastrofi dall’altro, ci sono riusciti. Uno dei commenti più attesi circa il report era quello del segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres. L’ha definito “un manuale di sopravvivenza per l’umanità”.
Synthesis Report: il manuale di sopravvivenza per l’umanità
Chiedersi quale sia la vera importanza del nuovo rapporto dell’IPCC è una domanda lecita. Se esistono già milioni e milioni di pagine scritte al riguardo, qual è la necessità di redigere un documento del genere? La risposta sta nel diverso pubblico che usufruirà del documento. Mentre il mondo scientifico e della ricerca si impegna in studi approfonditi potenzialmente infiniti, il Synthesis Report rappresenta un vero e proprio strumento politico. Il suo scopo, infatti, è quello di offrire un sommario per i politici, in modo tale da poterne indirizzare il policy-making. Sebbene il sommario sia redatto dagli scienziati, deve essere poi approvato dalle delegazioni di tutti i 193 facenti parte dell’IPCC. Questo procedimento è così complesso da causare spesso ritardi, come è capitato anche in questo caso. Così facendo, tutti i paesi hanno un potenziale potere di veto, potendo provare sia ad ampliare sia a ridurre le proposte del sommario.
Cosa c’è nel Report
Il Synthesis Report è diviso in tre sezioni: Stato dell’arte e tendenze in atto, rischi futuri e risposte nel lungo termine, risposte nel breve periodo. Queste ricalcano a loro volta le sezioni del Report. Neanche questo documento è riuscito a scardinare il principio climatico delle responsabilità comuni ma differenziate. Quest’ultimo prevede che la responsabilità delle emissioni ricada su tutti i paesi, in quantità maggiori o minori a seconda che si consideri un paese in via di sviluppo o un’economia avanzata. Va fatta eccezione per la Cina, considerato un paese in via di sviluppo ma comunque facente parte del gruppo dei grandi inquinatori. Il problema, in ogni caso, risulta essere sempre lo stesso. La velocità a cui riusciamo ad adattarci rispetto alla velocità della crisi climatica è decisamente inadeguata. Per rientrare nel programma dell’Agenda 2030, bisognerebbe agire quanto prima per non sforare l’aumento di 1,5°C.
Quali sono quindi le soluzioni? In primo luogo, come indicato dal rapporto, servono delle riduzioni “rapide e profonde e, nella maggior parte dei casi, immediate”. Se ne ricaverebbero enormi benefici sia per quanto riguarda l’inquinamento, sia per quanto riguarda la salute. Al contrario, invece, ci si aspetta un aumento sempre più insostenibile dei costi. Tuttavia, il Report ha portato alla luce un dato fondamentale: le tecnologie necessarie per intraprendere questo cambiamento sono già possibili.