Il 23 dicembre 1978, con la legge n. 833, fu istituito il Servizio sanitario nazionale (SSN) finalizzato al mantenimento e al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione, senza distinzione di condizioni individuali o sociali. Contestualmente nacque la figura del “medico di fiducia”, attraverso il diritto della persona alla libera scelta sia del medico che del luogo di cura.
Di qui la spontanea difficoltà a comprendere come si concilia questo diritto con la creazione di appositi hub vaccinali ontologicamente estranei al vincolo di fiducia che lega il paziente alla medicina generale.
Le nuove dinamiche che si stanno innervando portano a delegare di fatto la somministrazione del vaccino a medici che, per esigenze di celerità e funzionalità, sono impediti a tenere adeguatamente in debito conto il patrimonio di informazioni e documentazioni relativi allo stato di salute del vaccinando, patrimonio maturato e acquisito nel corso di un più che decennale rapporto instaurato con il medico di famiglia.
II dottore Luigi Sparano, medico di medicina generale e segretario provinciale di Napoli Fimmg (federazione Italiana medici di medicina generale), ha cercato di fornirci un’analisi più dettagliata della questione in esame.
«Il medico di famiglia ha le facoltà e i mezzi necessari per affrontare e curare la malattia in quanto è l’unico che può conoscere la “storia” del paziente. Un vero e proprio antropologo che prende in carico la persona e impara a conoscere tutte le espressioni delle malattie nell’arco della vita perché rispetto agli altri medici gode di un vantaggio: il tempo».
Ha trovato difficoltà ad “educare” i suoi pazienti alla necessità della vaccinazione?
«Nonostante il forte rapporto di fiducia instaurato con il paziente nel corso temporale, i medici stanno incontrando non poche difficoltà nel sedare il panico generale scaturito da un’informazione mediatica confusa e controproducente, che genera convinzioni errate difficili da sradicare.
I vaccini, sono tutti sicuri ma sono stati stigmatizzati perché le logiche della loro distribuzione si sono rivelate fallaci. L’errore principale sta nel fatto che, in un primo periodo, i vaccini sono stati consegnati a strutture e centri multifunzionali che se da un lato hanno raccolto il maggior numero di persone possibile, dall’altro hanno reso la vaccinazione un puro atto prestazionale, freddo che non tiene conto dello stato di salute del paziente in quel momento, esponendolo inevitabilmente a dei rischi. Un medico di famiglia invece convocherebbe il paziente solo quando esso si trova nello stato di salute migliore per la somministrazione del vaccino, così da limitare al più possibile i danni legati non tanto al vaccino in sé quanto a una condizione di salute in quel momento precaria».
Qual è il valore che attribuisce in questo momento alla vaccinazione?
«La vaccinazione è prima di tutto un atto fiduciario e tutto ciò che sta dietro l’esecuzione di quest’ultima è una conoscenza specifica che solo il medico di famiglia può avere, perché presuppone la conoscenza del paziente. Se si distrugge questo paradigma, si distrugge anche il sistema dei vaccini. La partita dunque si vince negli studi medici, grazie alla medicina di prossimità che, paradossalmente, resta forte nei territori che presentano ancora disagi. D’altronde, il ruolo del medico è fondamentale anche per questo: mantiene l’equilibrio sociale sul territorio, abbattendo le disuguaglianze».
Oggi ritiene che sia ancora sostenibile il modello del SSN?
«Questo modello non è più sostenibile come un tempo a causa dell’aumento della spesa sanitaria (circa 111 miliardi l’anno): la conseguenza più evidente di un invecchiamento costante della popolazione che diventa sempre più malata.
A ciò si aggiunge la prospettiva che nei prossimi tre anni la medicina generale vedrà una diminuzione del 70% dei suoi professionisti in seguito ai numerosi pensionamenti che la vedranno protagonista, ma con una sostituzione che oscilla soltanto tra il 35 e il 40%. Uno scompenso decisamente allarmante, ma che è maggiore soprattutto nelle aree del Nord Italia, una realtà caratterizzata da un’eccellenza sanitaria di secondo e terzo livello ma del tutto carente nel primo».
Non sorprende dunque come la Lombardia abbia pagato le conseguenze di ciò durante l’emergenza pandemica, perché «il COVID è una battaglia che si vince sul territorio, ma se mancano i medici di prossimità quella battaglia è persa in partenza».
di Vittoria Serino
Indice
Il 23 dicembre 1978, con la legge n. 833, fu istituito il Servizio sanitario nazionale (SSN) finalizzato al mantenimento e al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione, senza distinzione di condizioni individuali o sociali. Contestualmente nacque la figura del “medico di fiducia”, attraverso il diritto della persona alla libera scelta sia del medico che del luogo di cura.
Di qui la spontanea difficoltà a comprendere come si concilia questo diritto con la creazione di appositi hub vaccinali ontologicamente estranei al vincolo di fiducia che lega il paziente alla medicina generale.
Le nuove dinamiche che si stanno innervando portano a delegare di fatto la somministrazione del vaccino a medici che, per esigenze di celerità e funzionalità, sono impediti a tenere adeguatamente in debito conto il patrimonio di informazioni e documentazioni relativi allo stato di salute del vaccinando, patrimonio maturato e acquisito nel corso di un più che decennale rapporto instaurato con il medico di famiglia.
II dottore Luigi Sparano, medico di medicina generale e segretario provinciale di Napoli Fimmg (federazione Italiana medici di medicina generale), ha cercato di fornirci un’analisi più dettagliata della questione in esame.
«Il medico di famiglia ha le facoltà e i mezzi necessari per affrontare e curare la malattia in quanto è l’unico che può conoscere la “storia” del paziente. Un vero e proprio antropologo che prende in carico la persona e impara a conoscere tutte le espressioni delle malattie nell’arco della vita perché rispetto agli altri medici gode di un vantaggio: il tempo».Ha trovato difficoltà ad “educare” i suoi pazienti alla necessità della vaccinazione?«Nonostante il forte rapporto di fiducia instaurato con il paziente nel corso temporale, i medici stanno incontrando non poche difficoltà nel sedare il panico generale scaturito da un’informazione mediatica confusa e controproducente, che genera convinzioni errate difficili da sradicare.
I vaccini, sono tutti sicuri ma sono stati stigmatizzati perché le logiche della loro distribuzione si sono rivelate fallaci. L’errore principale sta nel fatto che, in un primo periodo, i vaccini sono stati consegnati a strutture e centri multifunzionali che se da un lato hanno raccolto il maggior numero di persone possibile, dall’altro hanno reso la vaccinazione un puro atto prestazionale, freddo che non tiene conto dello stato di salute del paziente in quel momento, esponendolo inevitabilmente a dei rischi. Un medico di famiglia invece convocherebbe il paziente solo quando esso si trova nello stato di salute migliore per la somministrazione del vaccino, così da limitare al più possibile i danni legati non tanto al vaccino in sé quanto a una condizione di salute in quel momento precaria».Qual è il valore che attribuisce in questo momento alla vaccinazione?«La vaccinazione è prima di tutto un atto fiduciario e tutto ciò che sta dietro l’esecuzione di quest’ultima è una conoscenza specifica che solo il medico di famiglia può avere, perché presuppone la conoscenza del paziente. Se si distrugge questo paradigma, si distrugge anche il sistema dei vaccini. La partita dunque si vince negli studi medici, grazie alla medicina di prossimità che, paradossalmente, resta forte nei territori che presentano ancora disagi. D’altronde, il ruolo del medico è fondamentale anche per questo: mantiene l’equilibrio sociale sul territorio, abbattendo le disuguaglianze».Oggi ritiene che sia ancora sostenibile il modello del SSN?«Questo modello non è più sostenibile come un tempo a causa dell’aumento della spesa sanitaria (circa 111 miliardi l’anno): la conseguenza più evidente di un invecchiamento costante della popolazione che diventa sempre più malata.
A ciò si aggiunge la prospettiva che nei prossimi tre anni la medicina generale vedrà una diminuzione del 70% dei suoi professionisti in seguito ai numerosi pensionamenti che la vedranno protagonista, ma con una sostituzione che oscilla soltanto tra il 35 e il 40%. Uno scompenso decisamente allarmante, ma che è maggiore soprattutto nelle aree del Nord Italia, una realtà caratterizzata da un’eccellenza sanitaria di secondo e terzo livello ma del tutto carente nel primo».
Non sorprende dunque come la Lombardia abbia pagato le conseguenze di ciò durante l’emergenza pandemica, perché «il COVID è una battaglia che si vince sul territorio, ma se mancano i medici di prossimità quella battaglia è persa in partenza».
Di qui la spontanea difficoltà a comprendere come si concilia questo diritto con la creazione di appositi hub vaccinali ontologicamente estranei al vincolo di fiducia che lega il paziente alla medicina generale.
Le nuove dinamiche che si stanno innervando portano a delegare di fatto la somministrazione del vaccino a medici che, per esigenze di celerità e funzionalità, sono impediti a tenere adeguatamente in debito conto il patrimonio di informazioni e documentazioni relativi allo stato di salute del vaccinando, patrimonio maturato e acquisito nel corso di un più che decennale rapporto instaurato con il medico di famiglia.
II dottore Luigi Sparano, medico di medicina generale e segretario provinciale di Napoli Fimmg (federazione Italiana medici di medicina generale), ha cercato di fornirci un’analisi più dettagliata della questione in esame.
«Il medico di famiglia ha le facoltà e i mezzi necessari per affrontare e curare la malattia in quanto è l’unico che può conoscere la “storia” del paziente. Un vero e proprio antropologo che prende in carico la persona e impara a conoscere tutte le espressioni delle malattie nell’arco della vita perché rispetto agli altri medici gode di un vantaggio: il tempo».Ha trovato difficoltà ad “educare” i suoi pazienti alla necessità della vaccinazione?«Nonostante il forte rapporto di fiducia instaurato con il paziente nel corso temporale, i medici stanno incontrando non poche difficoltà nel sedare il panico generale scaturito da un’informazione mediatica confusa e controproducente, che genera convinzioni errate difficili da sradicare.
I vaccini, sono tutti sicuri ma sono stati stigmatizzati perché le logiche della loro distribuzione si sono rivelate fallaci. L’errore principale sta nel fatto che, in un primo periodo, i vaccini sono stati consegnati a strutture e centri multifunzionali che se da un lato hanno raccolto il maggior numero di persone possibile, dall’altro hanno reso la vaccinazione un puro atto prestazionale, freddo che non tiene conto dello stato di salute del paziente in quel momento, esponendolo inevitabilmente a dei rischi. Un medico di famiglia invece convocherebbe il paziente solo quando esso si trova nello stato di salute migliore per la somministrazione del vaccino, così da limitare al più possibile i danni legati non tanto al vaccino in sé quanto a una condizione di salute in quel momento precaria».Qual è il valore che attribuisce in questo momento alla vaccinazione?«La vaccinazione è prima di tutto un atto fiduciario e tutto ciò che sta dietro l’esecuzione di quest’ultima è una conoscenza specifica che solo il medico di famiglia può avere, perché presuppone la conoscenza del paziente. Se si distrugge questo paradigma, si distrugge anche il sistema dei vaccini. La partita dunque si vince negli studi medici, grazie alla medicina di prossimità che, paradossalmente, resta forte nei territori che presentano ancora disagi. D’altronde, il ruolo del medico è fondamentale anche per questo: mantiene l’equilibrio sociale sul territorio, abbattendo le disuguaglianze».Oggi ritiene che sia ancora sostenibile il modello del SSN?«Questo modello non è più sostenibile come un tempo a causa dell’aumento della spesa sanitaria (circa 111 miliardi l’anno): la conseguenza più evidente di un invecchiamento costante della popolazione che diventa sempre più malata.
A ciò si aggiunge la prospettiva che nei prossimi tre anni la medicina generale vedrà una diminuzione del 70% dei suoi professionisti in seguito ai numerosi pensionamenti che la vedranno protagonista, ma con una sostituzione che oscilla soltanto tra il 35 e il 40%. Uno scompenso decisamente allarmante, ma che è maggiore soprattutto nelle aree del Nord Italia, una realtà caratterizzata da un’eccellenza sanitaria di secondo e terzo livello ma del tutto carente nel primo».
Non sorprende dunque come la Lombardia abbia pagato le conseguenze di ciò durante l’emergenza pandemica, perché «il COVID è una battaglia che si vince sul territorio, ma se mancano i medici di prossimità quella battaglia è persa in partenza».
TRATTO DA MAGAZINE INFORMARE N°217
MAGGIO 2021