Il complice: l’allegoria grottesca di Friedrich Dürrenmatt al San Ferdinando
Il complice di Friedrich Dürrenmatt è un’allegoria grottesca, un noir che tocca tematiche sociali e politiche, uno spaccato della realtà nella quale il male e il malaffare conducono i personaggi verso la complicità. Dal 31 marzo al 10 aprile Renato Carpentieri mette in scena lo spettacolo al teatro San Ferdinando, teatro dei De Filippo, nel cuore di Napoli a ridosso del quartiere Sanità.
Protagonista della tragedia “Il complice” è Doc, un chimico e scienziato famoso che opera in una Metropolis, una città americana non definita. Abituato al lusso, a una vita agiata e alla celebrità che la professione gli ha consentito di raggiungere, Doc ha sempre vissuto al di sopra delle sue possibilità e nell’illusione di proseguire per sempre quella sua modalità di vita dedicandosi alla scienza libera e alla purezza della ricerca. Tuttavia, la crisi economica capovolge completamente lo scenario e Doc, abbandonato da sua moglie che fugge con tutte le ricchezze di casa e con suo figlio inizia a lavorare come tassista e da questa nuova condizione si ritrova, ancor peggio, letteralmente proiettato nel sottosuolo, al quinto piano di uno scantinato a vivere e lavorare per un Boss della malavita.
Il sottosuolo è metafora della sua nuova vita, un’esistenza da topo di fogna, dove l’olezzo richiama le mosche e il gocciolio delle acque e lo squittio dei topi diventano i suoni ricorrenti. Il nuovo lavoro consiste nella gestione di un impianto di «necrodialisi», che distrugge i cadaveri umani senza lasciare traccia, e il Boss della malavita, inserito in un giro di omicidi su commissione, convincerà facilmente Doc ad entrare in affari con lui, per conservare il suo mestiere che svolgerà per pochi soldi. Il delitto perfetto troverà così un suo completamento: i cadaveri anziché abbandonati in giro o nel letto del fiume, saranno tenuti in frigorifero e poi distrutti per mezzo delle macchine azionate da Doc.
Renato Carpentieri, classe 1943, attore di cinema e di teatro – già Nastri d’Argento e David di Donatello al cinema – ricopre per questa occasione il duplice ruolo di regista e di attore nel ruolo di Boss. Si alternano sulla scena altri personaggi, come Cop capo della polizia che diventa a sua volta complice, e Ann amante del Boss che trova in Doc l’amore col quale fuggire, ma che trova la morte uccisa dal suo stesso desiderio di cambiare vita. Salvatore D’Onofrio è Doc, Giovanni Moschella è il capo della polizia Cop. Poi ci sono, Valeria Luchetti, che recita nella parte della seducente trentenne Ann, e Francesco Ruotolo, Antonio Elia e Pasquale Aprile.
Per Carpentieri «la scelta di una forma allegorica fa venire la voglia di mettere in scena questo testo, anche come reazione alla moda teatrale di falso realismo o di sogni estetizzanti sfruttando gli autori classici».
La scrittura di Dürrenmatt è una scrittura di satira e di politica, una critica alla società. Nel testo la libertà del singolo e la sua stessa sopravvivenza nella quotidianità sono indissolubilmente legate al concetto del male e della violenza, e la colpevolezza delle scelte del singolo produce effetto sulla vita degli altri esseri umani. Tutti entrano in gioco, tutti sono complici. L’imprenditore che distrugge cadaveri non è tanto diverso dagli altri imprenditori, e l’uomo di legge, di stato, Cop non è diverso dal Boss: «chi ha bisogno di un omicidio può commissionare il delitto. Io compro il delitto da voi… Voi siete condizionati da me e io da voi». E’ una lotta tra potenti, per la conservazione di un certo status sociale, una complicità di comodo, nella quale chi è più scaltro vince sugli altri. Chi resiste lo fa anche a costo di mentire, disconoscendo il proprio figlio pur di restare i vita, pur di spuntarla e diventare più ricco e potente degli altri.
Testo non semplice per la durezza delle tematiche, a tratti pulp nella rappresentazione della morte, incastonato dentro una sceneggiatura fatta di scene sature di colore quasi in contrasto con lo spirito noir della pièce. Luci magistrali curate dal maestro Cesare Accetta, per un’ora e cinquanta minuti di romanzo criminale raccontato sul palco di un teatro.
ph. Mina Grasso