Ilaria Alpi, giornalista e fotoreporter romana, insieme a Miran Hrovatin, cineoperatore, inviati del TG3, sono stati assassinati in prossimità dell’ambasciata italiana a Mogadiscio, in Somalia, il 20 marzo 1994 alle ore 15:10. Nell’autovettura su cui viaggiavano vi erano anche l’autista Sidi Ali Abdi ed il vigilante armato Mohamed Nur Aden, entrambi scampati all’agguato. Dopo 27 anni da questo avvenimento, meglio noto come “Il caso Alpi-Hrovatin“, non vi è ancora nessuna verità ed i motivi di questo duplice assassinio, non sono mai stati effettivamente chiariti. Ilaria Alpi fu inviata inizialmente in Somalia nel 1992 per seguire la missione di pace “Restore Hope” e, successivamente, si sarebbe poi soffermata su un possibile traffico di armi e di rifiuti tossici che avrebbero visto come complici anche i servizi segreti e le alte istituzioni italiane.
Il caso Alpi-Hrovatin: l’inchiesta sul traffico di armi e rifiuti tossici in Somalia
Le inchieste di Ilaria Alpi si sarebbero poi, dunque, soffermate su questo possibile traffico di armi e rifiuti tossici poiché lei avrebbe scoperto di questo traffico internazionale prodotto dai Paesi industrializzati e dislocati, poi, in alcuni paesi africani in cambio di tangenti e di armi scambiate con i gruppi politici locali. Tra l’altro nel novembre precedente, un informatore della Alpi per questo traffico di scorie tossiche, Vincenzo Li Causi, fu ucciso in Somalia ed anch’egli in circostanze alquanto misteriose. Dunque proprio come la giornalista romana ed il suo cineoperatore che furono ammazzati di ritorno da Bosaso, città a nord della Somalia, dove la giornalista aveva avuto modo di intervistare il sultano di Bosaso, Abdullahi Moussa Bogor, che riferì di stretti rapporti intrattenuti da alcuni funzionari italiani con il governo di Siad Barre, verso la fine degli anni Ottanta. Dopo questo duplice omicidio, si aprirono due procedimenti penali a carico di ignoti: uno presso la procura di Roma per la morte di Ilaria Alpi, l’altro presso la procura di Trieste per la morte di Miran Hrovatin.
Dopo 27 anni ancora nessuna verità
Il caso Alpi-Hrovatin sembrò prendere un’effettiva svolta solo il 13 gennaio del 1998 quando fu sottoposto a fermo Hashi Omar Hassan, accusato di aver eseguito il duplice omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Due giorni dopo venne disposta la custodia cautelare in carcere con ordinanza confermata dal tribunale del riesame il 7 febbraio. Contemporaneamente, però, si apriva un nuovo fascicolo contro ignoti. Dopo circa un anno e mezzo, il 20 luglio del 1999, Hassan fu assolto per non aver commesso il fatto poiché secondo il collegio egli sarebbe stato offerto alla giustizia come capro espiatorio per riallacciare i rapporti tra Italia e Somalia.
Tuttavia, il 24 ottobre del 2000 presso la Corte d’Assise d’Appello di Roma, si aprì il processo d’appello per il duplice omicidio nella quale Hassan fu ritenuto responsabile del duplice omicidio volontario, con l’aggravante della premeditazione, e fu condannato all’ergastolo con aggiunta della custodia cautelare in carcere, motivata sulla base del pericolo di fuga del carcerato. Nel 10 maggio del 2002 si aprì sempre presso la Corte d’Assise d’Appello di Roma, il processo d’appello bis nel quale il collegio concluse per la pena a 26 anni di reclusione senza la premeditazione e riconoscendo attenuanti generiche. Successivamente il 19 ottobre del 2016 si ebbe una svolta nella quale il sostituto procuratore generale, analizzando le prove emerse nei confronti di Hassan, disse che ne derivava un quadro bianco senza immagini e che quindi la conclusione non poteva che essere una richiesta di assoluzione per non aver commesso il fatto.
Dopo aver dunque scontato solo 17 dei 26 anni, Hassan viene assolto e nel 3 luglio del 2017, la procura di Roma chiede di archiviare l’inchiesta in quanto risulta impossibile accertare l’identità dei killer ed il movente del duplice omicidio. Dunque sono ormai passati 27 anni dall’assassinio di Ilaria Alpi e di Miran Hrovatin, e per il caso Alpi-Hrovatin non si è ancora trovata una risposta a questo importante enigma.
di Luisa Del prete