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Halal Italia: il dialogo sul cibo tra Italia e Islam 

Iolanda Caserta 14/02/2023
Updated 2023/02/14 at 3:36 PM
5 Minuti per la lettura

Studiare il mondo e la cultura islamica all’università ti permette di viaggiare con la mente verso un mondo diverso, lontano. In realtà, questa cultura non è poi così lontana da noi. Secondo i dati, fino all’anno scorso si contano circa 2 milioni e 500 mila di musulmani su tutto il territorio nazionale: numeri significativi, che rendono l’Islam la seconda religione più diffusa nel nostro paese. Eppure, solo una piccola fetta di istituzioni, aziende, cittadini sembra cercare un vero dialogo con questi fedeli. Da qui, una scoperta non indifferente; un marchio registrato presso il Ministero dello Sviluppo Economico: Halal Italia

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Hamid Distefano, CEO di Halal Italia

Questo ente analizza prodotti come carne, cosmetici, medicine, per verificare che siano conformi alla dicitura “halal” ossia lecito, diverso da “haram”. Nel nostro Paese sono più di 300 le aziende che possiedono la certificazione Halal Italia, mentre altre ancora sono certificate da enti halal diversi: un passo avanti per una giusta convivenza tra l’Occidente e l’Islam. A questo proposito, abbiamo intervistato l’Amministratore Delegato di Halal Italia, Hamid Distefano, che ci ha spiegato il vero obbiettivo di questa certificazione. 

Perché nasce Halal Italia? 

«Halal Italia (www.halalitalia.org) nasce nel 2009 per dare alle aziende italiane l’affidabilità di una certificazione religiosa riconosciuta a livello internazionale. La certificazione halal è uno strumento per avvicinare mondi e creare interconnessioni tra persone, società e sistemi economici. Scegliere la certificazione halal come strategia per l’internazionalizzazione ha già consentito a molte aziende italiane di esportare i propri prodotti in tutto il mondo. Si tratta di una buona pratica a beneficio di tutta la comunità islamica e di tutti i consumatori, in un’ottica di dialogo e cooperazione con la comunità islamica in Italia, in Europa e ovunque». 

Quale metodologia viene usata per l’analisi dei prodotti da Halal Italia? 

«Siamo un ente di certificazione volontaria di qualità – di filiera e di prodotto – di parte terza e verifichiamo i prodotti, i processi e i servizi di un’azienda secondo standard nazionali e internazionali. Questa è la nostra forza: conosciamo il tessuto imprenditoriale italiano e le procedure necessarie affinché un prodotto, una linea produttiva o un servizio possano essere conformi ai requisiti islamici di ciò che viene definito “lecito”, halal.  Poniamo sempre particolare attenzione alle normative italiane ed europee in materia di igiene, sicurezza alimentare e benessere animale. Tutto il processo di certificazione avviene utilizzando il linguaggio ISO che le aziende già conoscono». 

A suo parere, l’Italia e l’Europa dedicano abbastanza spazio all’istruzione della “sostenibilità” islamica? 

«Se per “sostenibilità” si intende l’insieme di quelle dinamiche sociali, culturali, religiose che permettono a un determinato gruppo di esprimersi in quanto minoranza, nel senso di un passo avanti rispetto alle dinamiche di integrazione, c’è sicuramente ancora molto da fare. Infatti, esiste un potenziale dei musulmani in Occidente ancora da scoprire e valorizzare. Solitamente si pensa alla forza lavoro che i migranti portano, ma si tratta solo di un aspetto minore in confronto a valori, risorse e dinamicità che vanno valutati nel loro insieme. Educare i musulmani a vivere in Occidente significa anche educare gli occidentali a non chiudersi in un mondo fatto a propria immagine e somiglianza. È pur sempre il mondo di Dio dove siamo tutti Suoi figli, in nome del Quale dobbiamo imparare a rispettarci». 

La nostra Nazione è famosa in Europa per avere un “certo riguardo” nei confronti dei musulmani. Eppure, questa certificazione aprirebbe gli occhi ad un’etica di cui il nostro paese potrebbe aver bisogno. È possibile? 

«Certamente, con l’accortezza che siamo in un’epoca storica in cui il pluralismo dell’etica è alla base della società moderna. Quindi accanto a una certificazione etica che segue determinati principi religiosi, esistono altre correnti di pensiero che la negano. È importante conoscersi, rispettando le differenze che esistono senza farsi omologare in un’unica visione del mondo. La certificazione halal richiede alle aziende di aprire i propri orizzonti, evidentemente senza diventare musulmani. È sempre l’ignoranza l’ostacolo principale al fluire della conoscenza e delle opportunità che la vita presenta. L’Italia è senz’altro un Paese più ospitale di altri in Europa, è ora che i musulmani possano mostrare i frutti di questa convivenza pacifica a beneficio di tutta la società. Insh’Allah, se Dio vuole!». 

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