La vita in pandemia è costellata di incertezze: economiche, sanitarie, sociali. Il mondo smette di girare, ma la natura va avanti e, per fortuna, nascono ancora bambini. Ma quelli concepiti con la pratica della maternità surrogata, per il momento, restano figli di nessuno.
È stato il video pubblicato qualche settimana fa da una famosissima agenzia ucraina specializzata nel settore, la BioTexCom, ad accendere i riflettori e l’indignazione dell’opinione pubblica in merito alla questione. Tante piccole culle disposte in fila ad ospitare bambini nati con la tecnica della maternità surrogata che, a causa delle misure di contenimento Covid, si trovano al momento in una sorta di limbo. Non più figli della madre che ne ha portato a termine la gestazione perché, legalmente, non ha alcun obbligo post partum, ma non ancora figli dei cosiddetti “genitori intenzionali”, che ne hanno desiderato la nascita e che non possono raggiungerli nel loro paese natale.
La responsabile dell’agenzia racconta della condizione di assoluta sicurezza e protezione nella quale si trovano i bambini, delle tate che li accudiscono quotidianamente, esortando al contempo i genitori a far pressione sui rispettivi Ministeri degli Esteri, non essendo l’agenzia più in grado di sostenere ancora a lungo i costi delle loro cure. Sebbene dal video i bambini sembrino realmente accuditi e curati proprio come se fossero fra le braccia dei genitori, sarebbe troppo naif non pensare che sui social si lascia intravedere solo ciò che fa comodo.
È un problema che riecheggia sul panorama internazionale. Sono svariati i paesi che considerano questa pratica illegale (Italia inclusa), per una serie di motivi. È una pratica in molti casi commerciale – sebbene il pagamento in denaro sia proibito in alcuni paesi – a tratti disumana – prevede addirittura un rimborso nel caso in cui il bambino muoia entro un anno di vita – e in netto contrasto con l’iter dell’adozione. Proprio per quest’ultimo motivo molte coppie scelgono di volare all’estero per realizzare il sogno di avere un bebè, essendo oltretutto possibile il riconoscimento in tempi brevi, omettendo il nome della madre surrogata.
La chiusura delle frontiere è stato un fulmine a ciel sereno per genitori ed agenzie, impreparate ad affrontare una situazione di questo tipo. Solitamente i futuri genitori ottengono l’affido del bambino subito dopo la sua nascita: fino a qualche mese fa, era incontemplabile l’idea che non ci fosse nessuno a prendersene cura. La legge sembrerebbe dire che, in questa situazione, il bambino potrebbe essere accudito da un parente dei genitori intenzionali o dalla madre biologica, ma senza nessun obbligo. Allo stato attuale, non si è neanche certi che questi bambini siano stati registrati all’anagrafe: in caso contrario, la loro situazione sarebbe ancora più precaria.
Sono svariate le cliniche che si occupano di questa pratica, soprattutto in America, dove è oltretutto consentita l’adozione a coppie omosessuali o single. Ma neanche gli USA hanno applicato sconti di pena in merito alle misure contenitive. In un articolo pubblicato dalla Nbcnews si raccontano le peripezie di una coppia di genitori omosessuali ai quali non è stato consentito di spostarsi dalla Francia in Florida, sebbene i visti pre-nascita li designassero i genitori legali della bambina che stava per nascere.
Altra questione problematica diventa la necessità di ottenere un passaporto per i neonati, pratica che potrebbe arrivare a protrarsi per mesi, con un dispendio economico impossibile da sostenere per le neo famiglie. Inevitabile è, a questo proposito, pensare a quanto la pandemia abbia rimescolato la scala delle priorità di ciascuno. Una situazione economica non più stabile potrebbe portare i genitori intenzionali a desiderare di non essere più tali, rendendo ancora più incerto il futuro dei piccoli che, nel frattempo, attendono di giungere finalmente a casa, ignari di aver avuto una vita stravolta prima ancora di venire alla luce.