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Giuseppe Golino: l’arte come flusso di emozioni

Teresa Coscia 23/11/2021
Updated 2021/11/24 at 2:16 AM
5 Minuti per la lettura
Trasmettere emozioni, stati d’animo, pensieri, riflessioni. Ed è questo l’intento più affascinante, misterioso e forse irraggiungibile di un’opera d’arte.

Una sorta di dialogo a tu per tu fra artista e fruitore capaci di guardarsi negli occhi senza incrociare mai gli sguardi, senza mai conoscersi e, di fatto, parlarsi. Un dialogo interiore, tacito e profondo, «un flusso di emozioni e sensazioni dal quale scaturisce il vero senso dell’opera d’arte». Ci racconta proprio questo Giuseppe Golino, artista marcianisano classe ’96 specializzato in Grafica d’Arte per l’Incisione, presso l’Accademia delle Belle Arti di Napoli. Un talento appena sbocciato e estremamente promettente, una passione che affonda le radici nella più tenera età.

Giuseppe, come ti sei avvicinato al mondo dell’arte e, nello specifico, alla tecnica incisoria?

«È stata una passione che mi ha accompagnato dall’infanzia. Ero incuriosito dall’idea di rappresentare la bellezza che mi circondava, soprattutto durante i miei studi liceali. Proprio qui ho avuto la fortuna di incontrare Enzo Toscano, mio professore nonché artista, che mi ha aiutato a comprendere l’essenza del mio stile artistico. E’ stato lui a consigliarmi di intraprendere il percorso che ho poi scelto, che ad oggi è parte integrante e imprescindibile della mia vita». Una passione e un docente attento e sensibile a captare i talenti e le propensioni dei propri studenti. Tanta curiosità e voglia di crescere. «L’Accademia all’inizio era un mondo assolutamente distante dalla mia comfort zone. Col tempo è diventata un luogo stimolante e di confronto con allievi, colleghi, futuri artisti e docenti. L’ideale per crescere dal punto di vista artistico e stilistico».

C’è un autore al quale ti ispiri particolarmente?

«A dire il vero non ho nessuna particolare propensione per un artista specifico. Certamente alcuni hanno stimolato molto la mia crescita professionale, uno fra tutti Salvador Dalì, poi l’arte virtuosa di Albrecht Durer. Di Maurizio Cattelan, invece, ammiro particolarmente la pungente satira di denuncia sociale. È stato in ogni caso per me fondamentale l’allontanamento da quelli che potevano essere gli archetipi del bello, per definire un mio stile peculiare».

“Simposio”, “Escape from the pain”, “Ammore annascunnuto”: sono alcuni dei titoli delle tue opere. Come nascono? Quali sono i soggetti e gli eventi che ti ispirano maggiormente e cosa desideri trasmettere con le tue opere?

«Una delle costanti nel mio modo di agire è quella di voler trasmettere uno stato emozionale che riconduce il fruitore direttamente all’artista. È la casualità dei miei stati d’animo a ispirarmi nella creazione delle opere. Chi le osserva ha, per me, la libertà di trarre le proprie riflessioni peculiari e soggettive. Proprio questo mio approccio alla creazione mi impedisce di avere un legame particolare con una specifica opera. Ogni mio lavoro nasce in un determinato momento della mia vita, mentre seguo un determinato percorso.

Sono affezionato ad ogni mia incisione non in quanto bella, ma semplicemente perché il tempo e la dedizione impiegati rendono giustizia a ciò che il prodotto finale può raccontare. Potrei valutare un lavoro come il migliore mai riuscito e dopo qualche attimo screditarlo come il peggiore in assoluto. Per questo considero come unica costante nel mio modus operandi il limite che, opera dopo opera, mi impongo di superare. Non mi accontento mai di un risultato raggiunto, preferisco piuttosto considerarlo ogni volta come un nuovo punto di partenza».

Giuseppe, hai progetti e sogni per il futuro?

«Non mi prefiggo nessun particolare obiettivo da raggiungere. Sono consapevole di avere ancora tantissimo da imparare, ma una cosa è certa: non riesco a immaginare la mia vita senza arte. Spero di riportare in auge la bellezza delle tecniche incisorie, di spingere i giovani artisti ad avvicinarsi a questo spettacolare mondo fatto di odori, sapori, dolori e glorificazioni. Permettendo loro di sperimentare la bellezza di imprimere una stampa calcografica e la morbidezza della carta fatta a mano. Di trasmettere loro l’importanza del confronto per un artista con altri artisti e con le persone che lo circondano diventato, nella società odierna, un privilegio tristemente di nicchia».

di Teresa Coscia

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