Probabilmente non esiste nell’ambiente un bene più fascinoso del mare. Ciascuno sa quanto è prezioso per il benessere dell’uomo ed è noto il tradizionale adagio: “Di fronte al mare la felicità è un’idea semplice”.
È forse per questo motivo che sempre più spesso siamo propensi a recarci, anche per una semplice passeggiata, al mare e chi può acquista dimore nelle sue vicinanze. Quelli che abitano in luoghi marittimi inoltre difficilmente sarebbero disposti a cambiare il proprio luogo di residenza. Ciò perché il patrimonio marittimo appartiene a tutti ed è un bene di cui ciascuno avverte sempre più il bisogno per il proprio benessere psicofisico.
Esso rappresenta una parte importante dell’ecosistema ed è protetto da molteplici leggi che operano a vari livelli e con scopi diversi. È anche per queste ragioni che i titolari degli stabilimenti balneari cercano di erogare il servizio anche oltre il tradizionale periodo estivo, consentendoci di trascorrere un po’ di tempo in spiaggia, talora anche con la possibilità di degustare la nostra cucina (buona parte dei lidi offrono, ormai, servizi di ristorazione anche tutto l’anno) e permetterci di assaporare quella “dolce vita”, da tempo cifra distintiva del vivere all’italiana.
IL REBUS DELLE CONCESSIONI
La gestione delle spiagge è al centro di un importante dibattito che vede a confronto le leggi italiane e quelle europee. Come tutti sanno, la possibilità per un operatore di gestire una spiaggia consegue a una concessione che l’ente pubblico eroga dietro il pagamento di un canone. Il diritto del privato di usufruire in via economica esclusiva di questo bene pubblico presuppone che l’amministrazione gliel’accordi mediante lo strumento della concessione demaniale. Tuttavia oggi il settore delle concessioni deve essere conforme non solo alle leggi italiane (che ne regolano il procedimento di affidamento e lo sviluppo del rapporto) ma anche a quelle europee. È noto che l’Italia, quale membro dell’Unione europea, è tenuta a rispettarne il trattato istitutivo (con le successive modifiche) e la legislazione delle istituzioni europee da esso prevista. Ebbene, il settore delle concessioni demaniali risulta regolato dalle norme europee in maniera attualmente difforme da quelle italiane.
COSA DICE L’EUROPA
Il diritto europeo, soprattutto quello in tema di concorrenza, impone che anche questo importante settore economico sia aperto alla competizione, il che significa che qualsiasi imprenditore (italiano ed europeo) può aspirare a gestire una delle spiagge italiane, anche insediandovi uno stabilimento, al fine di erogare servizi turistico-ricreativi. Il che implica, ancora, che le attuali concessioni balneari che nascono temporanee e che sono state più volte prorogate per legge, risultano difformi da questi principi e vanno riformate.
Il bisogno è quello infatti di rimettere al più presto sul mercato le concessioni per selezionare nuovamente l’operatore più idoneo. Secondo il diritto italiano e quello europeo l’accesso a questo mercato – così come accaduto in quello dei servizi telefonici (si ricorda quanto erano onerosi i contratti per l’uso dei cellulari) e come sta accadendo nel settore dell’energia –, deve aprirsi alla concorrenza sì da consentire a qualunque interessato di partecipare a una pubblica selezione per l’affidamento del demanio marittimo.
Questi principi sono sanciti non solo nel Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (artt. 49 e 56), ma soprattutto dall’art. 12 della direttiva Bolkestein (n. 2006/123/CE), in ossequio alla quale, trattandosi di servizi che afferiscono a una risorsa scarsa (il numero di spiagge non è illimitato), essi devono essere assegnati all’operatore più meritevole all’esito di una procedura concorrenziale basata sui principi di trasparenza, proporzionalità e non discriminazione.
Di recente, sul tema è intervenuta anche l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (nel 2021 con ben due pronunzie) sancendo che le più recenti leggi italiane di proroga delle concessioni esistenti sono illegittime proprio perché difformi dalle norme europee. Per cui, essendo il diritto europeo preminente rispetto a quello italiano, le leggi interne di proroga non devono essere applicate né dai giudici italiani né dalle amministrazioni pubbliche, le quali sarebbero quindi già autorizzate ad adottare i bandi per la riassegnazione delle concessioni. Il giudice amministrativo ha avuto modo di osservare che tale settore turistico-ricreativo contempla un giro di affari di miliardi di euro, rispetto al quale gli importi dei canoni previsti e versati dagli attuali operatori sono pressoché irrisori. Ha anche rilevato che il settore, in quanto afferisce al patrimonio costiero italiano invidiato in tutto il mondo, desta l’interesse di tutti gli operatori economici europei e la competizione tra questi è un fattore che influisce sulla qualità del servizio erogato.
LE ULTIME LEGGI SONO ILLEGITTIME
Il principio della concorrenza, osserva ancora il Consiglio di Stato, consentirebbe di ammodernare le strutture e innalzare ovunque il livello dei servizi. Solo grazie alla concorrenza si potranno avere servizi adeguati al pregio delle nostre coste, generando rilevanti entrate per le casse pubbliche. Conservare lo stato delle cose significa invece scoraggiare nuovi investimenti, precludere l’accesso a imprenditori ambiziosi che mirano a gestire con successo tale importante settore, impendendone di fatto la modernizzazione.
Per queste ragioni, tutte le ultime leggi che hanno prorogato automaticamente le concessioni sono illegittime: sia quella del 2018 (la n. 145), sia quella emanata durante il periodo Covid (D.L., n. 34/2020 che mirava a preservare il settore dalla crisi delle chiusure, andando però in direzione contraria all’innovazione, per quanto detto); sia ancora quella disposta dall’ultimo legislatore (legge n. 14/2023) che ha prorogato al dicembre del 2024 l’efficacia delle concessioni in atto. Il Consiglio di Stato ha stabilito che l’illegittimità delle proroghe comporterebbe che esse debbano considerarsi venute meno immediatamente; tuttavia ciò genererebbe un inevitabile caos, in quanto gli spazi del demanio si vedrebbero sottratti, dall’oggi al domani, ai gestori.
Ciò ha indotto il giudice amministrativo a fissare al 31 dicembre 2023 la data ultima per consentire alle amministrazioni di avviare nuove gare per le assegnazioni delle spiagge, affermando inoltre che ogni legge italiana successiva che dovesse prorogare questa data sarebbe illegittima e, quindi, improduttiva di effetti.
È notizia di questi giorni, tra l’altro, che anche la Corte di giustizia europea, già intervenuta nel 2016, ha ribadito l’illegittimità della normativa italiana e la Commissione europea sta valutando se riattivare la procedura di infrazione contro l’Italia. È per questa ragione che il Parlamento, come si apprende in questi giorni dai media, dovrà approvare rapidamente una riforma complessiva degli affidamenti che si allinei alla normativa europea e a quanto affermato dai giudici. Si tratta di una normativa che servirà a guidare le amministrazioni pubbliche a redigere i bandi per i nuovi affidamenti.
Il giudice amministrativo peraltro ha già offerto alcune coordinate, affermando in primo luogo che le procedure competitive dovrebbero prevedere un indennizzo per l’imprenditore uscente che abbia fatto investimenti. È giusto e ragionevole infatti che l’attuale titolare delle concessioni che abbia sostenuto spese per il proprio stabilimento ne sia ristorato. È stato indicato inoltre che si dovrebbero escludere, nei nuovi bandi, meccanismi di preferenza automatica per i gestori uscenti, onde evitare che si eluda il principio di concorrenza, come accadrebbe se i bandi accordassero punteggi aggiuntivi all’operatore uscente, il che penalizzerebbe automaticamente l’imprenditore che si affacci al settore. Dovrebbero poi essere previsti criteri di selezione proporzionati, non discriminatori ed equi e ancora (aspetto molto importante) la durata della concessione non dovrebbe eccedere il periodo di tempo ragionevolmente necessario per il recupero dell’investimento.
Insomma, la temporaneità dell’affidamento dovrebbe essere conciliata con la necessità di remunerare gli investimenti effettuati. Infine, il bando di gara dovrebbe disciplinare anche il canone, permettendosi così che la contesa tra i vari aspiranti ne investa anche la misura, nella prospettiva di canoni adeguati anche all’importanza e al prestigio dei luoghi sui quali insiste il bene oggetto di concessione. Insomma, dall’applicazione di questi principi, deriverà l’ineludibile necessità per il nostro legislatore di riformare il settore con regole che mirino anzitutto a innalzare il livello del servizio e che consentano al migliore imprenditore di avvicinarsi a tale attività; e allo Stato di incamerare il giusto compenso per l’utilizzo esclusivo del bene. Questo non potrà che condurre al miglioramento delle condizioni, consentendo un ammodernamento e un uso razionale ed efficiente di luoghi (incluse le spiagge del nostro litorale domizio) che sono davvero unici al mondo e allo stato forse non valorizzati appieno. È un imperativo cui il legislatore non potrà più sottrarsi anche perché il termine stabilito dal Consiglio di Stato è vicino e non sono consentite ulteriori proroghe e, soprattutto, allo spirare dello stesso ciascuna amministrazione potrà liberarsi delle concessioni esistenti e avviare, in piena legittimità, le procedure di selezione di nuovi gestori di questo essenziale servizio per la comunità.
di Francesco Balato