Fuje Filumena, l’opera eduardiana in scena alla Sala Teatro Ichos di San Giovanni a Teduccio

Redazione Informare 07/11/2017
Updated 2017/11/07 at 8:14 PM
3 Minuti per la lettura

“Cosa sarebbe successo se la Madonna non avesse risposto a Filumena nella scena clou del dramma Eduardiano? Come avrebbe reagito Filumena a quel mutismo? Come si sarebbe svolto il dramma senza alcuna risposta? “E figlie so figlie” fa dire Eduardo alla domanda decisa che Filumena porge alla Madonna quando impreca urlando “Sto parlanno cu te… Rispunne!!!”. E proprio in questo vuoto, in quest’assenza nasce Fuje Filumena, un’opera provocatoria, dissacrante, che vuole umanizzare, sporcare, portare ai nostri livelli un’icona, una “Santa” del teatro del novecento italiano e mondiale. Un ulteriore volteggio di questa Filumena consiste nel fatto che lei non è più una donna ma un uomo, “nu femmeniello” come si dice a Napoli, che percorre parallelamente le vicende della “mamma delle mamme” per cadere rovinosamente a terra perché non ha diritto né possibilità di avere una famiglia come tutte le altre. La nostra Filumena è ferma in una sospensione, un baratro in cui rivive, riesuma, cancella con energia potente attraverso parole disarmanti che come una droga velenosa arrivano lentamente, tramano dal di sotto, strusciano, incollano e trasportano.”

(Peppe Fonzo)

Lo spettacolo “Fuje Filumena” , presentato da Magnifico Visbaal a Sala Ichòs (via Principe di San Nicandro 32/a – San Giovanni a Teduccio, Napoli) da venerdì 10 a domenica 12 novembre, è stato scritto e diretto da Peppe Fonzo ed interpretato da Luigi Credendino.

Come chiaramente il nome dello spettacolo lascia intravedere ed anche le note di regia, è ispirato a un personaggio immenso dell’opera Eduardiana, Filumena Maturano. Lo spettacolo dissacra quest’icona, toglie, nega, sottrae, mettendo in scena una vita parallela, altra e (im)possibile di una Filumena declassata di grado e di spessore, trasformata in un alter ego nero senza scrupoli, senza obiettivi, senza meta.

Potremmo definirla “una” Medea senza coscienza, un anima in pena, una persona umiliata che si è lasciata andare. Seduta su una sedia guarda il pubblico come dal quadrato di un ring, è un combattimento, un interrogatorio, un circo, lei in mezzo è l’attrazione.

Questa riscrittura al “maschile”  ci immerge in un mondo già ampiamente frequentato da grandi autori, ma che in riferimento al genio di Eduardo ricontestualizza in maniera inevitabilmente tragica e comica allo stesso tempo, come sempre fa la napoletanità dei travestiti, una storia di dolore e di sberleffo, di amore e risentimento, di patimenti e vendette.

Il testo gioca sul filo del rasoio spostando il baricentro e mettendo in evidenza la distanza tra due “signorine” di epoche diverse: quella di oggi che vive in un contemporaneo di “munnezza”, alienazione, rassegnazione, ignoranza, angoscia; e quella della favola borghese Eduardiana, un archetipo che pare ormai lontano.

di Flavia Trombetta

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