La festa di Ognissanti a Napoli, la storia di una tradizione secolare offuscata da Halloween
La festa di Halloween oggi ha contaminato ed offuscato la festa di Ognissanti e la devozione secolare napoletana verso i propri defunti. Il culto dei morti, delle anime del Purgatorio, affonda radici profonde nella cultura partenopea. Una devozione storica che da tempo immemore racconta di una convivenza tra il mondo ultraterreno e quello quotidiano.
Le anime dei defunti hanno bisogno delle preghiere dei vivi per abbreviare la loro permanenza nel Purgatorio ed ascendere al giusto paradiso. Così come le preghiere sulla terra servono ad ingraziarsi i defunti in cambio di grazie o magari numeri in sogno!
Il giorno di Ognissanti porta ai cimiteri una continua processione di parenti che almeno una volta l’anno vanno a raccomandarsi alle anime dei propri defunti. Un’usanza che di cui si sono perse gran parte delle tradizioni, spesso contaminate dalle culture straniere che si sono avvicendate.
Napoli è generosa: regala parte di sé a chiunque sappia apprezzarla e contemporaneamente ruba e rende proprio un pezzettino dell’anima di chi la incontra e così è stato nel corso dei secoli.
Oggi siamo bombardati dal consumismo di una festa, Halloween, che ci è stata portata da lontano. In modo erroneo l’abbiamo associata all’America, in realtà in America è stata portata dagli immigrati anglosassoni che a loro volta l’hanno ereditata da altre culture come quella Celtica.
La verità è che ogni cultura ha onorato i propri morti e le liturgie, con la loro invocazione, sembrano assomigliarsi tutte. I monelli partenopei si mascheravano e giravano per le strade di Napoli gridando “Cicci muorti”, altro che “Dolcetto o scherzetto”. I “cicci” erano i chicchi di grano che venivano fatti bollire in una zuppa e poi ripassati nel miele e nello zucchero creando un dolce povero.
Portavano per le vie della città una scatola di cartone a forma di bara, “O tavutiello”. Recitavano una filastrocca “Famme bene, pe’ li muorte: dint’a ‘sta péttula che ‘ce puórte? Passe e ficusecche ‘nce puórte e famme bene, pe’ li muorte” (Fammi del bene per i morti: in questo grembiule che ci porti? Uva passa e fichi secchi porti e fammi del bene, per i morti).
“Fate bene ai Santi morti”, i dolci dei morti, quelli che ci scambiamo durante la festa di Ognissanti, simboleggiano i doni che i defunti portano dal cielo e contemporaneamente l’offerta di ristoro dei vivi per il loro viaggio
Era usanza, infatti, lasciare le tavole imbandite la sera del 31 ottobre per dare ristoro ai defunti che andavano in visita per le case. E forse deriva da qui la superstizione di non lasciare mai la tavola imbandita di notte durante il resto dell’anno.
Tra le varie tradizioni, una che resiste è il Torrone dei morti, una volta chiamati “morticini” per la loro forma di una cassa da morto e nelle vetrine napoletane ancora sfoggiano durante la festa. Gli innamorati lo portavano alle loro fidanzate per addolcire la tristezza della ricorrenza, ma in particolare lo offrivano alle suocere in segno di rispetto.