Con l’entrata in vigore del Family Act il 12 maggio, il governo potrà sostenere l’equilibrio tra famiglia e lavoro, incentivare il lavoro femminile e riorganizzare la disciplina relativa ai congedi parentali. Un passo importante e necessario verso la promozione della parità di genere, al quale il governo è chiamato a dare seguito al più presto.
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Il Family Act arriva poco più di una settimana dopo lo scoppio della polemica sull’imprenditrice Elisabetta Franchi. Nel suo intervento all’evento organizzato da Il Foglio e Pwc ha spiegato di preferire – per evitare danni economici – l’assunzione di donne sopra i 40 anni d’età perché: «sono già sposate, hanno già avuto figli o si sono già separate». Del resto, «i figli li facciamo noi e comunque il camino in casa lo accendiamo noi, quindi è nostra responsabilità occuparcene» – ha aggiunto.Si è gridato allo scandalo e sui social non sono mancate iniziative di boicottaggio della stilista. Ci si è focalizzati sulla particolarità dell’episodio, dimenticando quanto sia un pensiero abbastanza comune tra imprenditori e imprenditrici. Lo specchio di un apparato che non ha mai smesso di attribuire alle donne i doveri di cura. Un problema culturale, ma anche politico ed economico, che va affrontato con le giuste misure.In Italia, sono ancora le donne a farsi carico della famiglia Anche se negli ultimi anni il livello di partecipazione delle donne al mercato del lavoro si è avvicinato a quello europeo, l’Italia continua a presentare i più elevati tassi di inattività femminile; soprattutto per le donne con carichi familiari, bassi livelli di istruzione e residenti nel Mezzogiorno. Sono ancora le donne a farsi carico della maggior parte delle attività di cura, in lotta costante per conciliare la vita familiare con quella lavorativa. Al contrario, sono molto lenti i progressi nel coinvolgimento degli uomini nella cura della casa e dei figli.Secondo una ricerca del Censis «l’educazione e la cura dei figli sono ritenuti compiti preminentemente femminili, esercitati quotidianamente dal 97% delle donne italiane». Mentre «il 63,5% degli italiani riconosce, che a volte può essere necessario o opportuno che una donna sacrifichi un po’ del suo tempo libero o della sua carriera per dedicarsi alla famiglia».Per questo motivo, in Italia, più della metà delle donne fra i 25 e i 49 con figli piccoli non lavora, una donna occupata su tre ha un impiego part time e una donna su quattro lascia il lavoro per cause familiari.Quali sono le principali politiche di conciliazione lavoro-famiglia in Italia?In Italia, sul piano formale, esistono congedi parentali, congedo di maternità e congedo di paternità (obbligatorio e facoltativo), ma per come strutturati sono del tutto inefficaci. Andiamo per gradi.Il Congedo parentale dura massimo 10 mesi per ogni figlio/a e può essere usufruito (in maniera continuativa o meno) nei primi 12 anni di vita. Nei primi 6 anni dalla nascita, i genitori in congedo ricevono il 30% del salario; dai 6 agli 8 anni, l’indennità è del 30% solo se il reddito non eccede un certo importo. Mentre sopra gli 8 anni non c‘è diritto ad alcuna indennità. Nonostante il Congedo parentale preveda una quota paritaria utilizzabile dalle donne e dagli uomini (6 mesi per la madre e 6 mesi per il padre), l’80% dei beneficiari è donna secondo l’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani (tra il 2015 e il 2019).Secondo il parere degli esperti, il problema sarebbe attribuibile all’indennità bassa (o addirittura assente), all’assenza di incentivi (ad es. un congedo aggiuntivo) e di una quota riservata ai padri.Il Congedo di maternità è pari a 5 mesi, con un’indennità garantita pari all’80% della retribuzione.Il Congedo obbligatorio di paternità (introdotto in Italia solo nel 2012) è pari a 10 giorni con l’ultima legge di bilancio. Ѐ da fruire entro i cinque mesi dalla nascita e prevede un’indennità pari al 100% della retribuzione. La sua durata fa posizionare l’Italia agli ultimi posti in Europa.Il Congedo facoltativo di paternità ha la durata di 1 giorno, da fruire entro i cinque mesi dalla nascita, ed è condizionato alla scelta della madre lavoratrice di non fruire di un giorno di congedo maternità.Le novità introdotte dal Family ActDal 12 maggio 2022 è entrato in vigore il Family Act (legge 7/4/2022 n. 32, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 97 del 27/4/2022). La legge permetterà al governo di adottare uno o più decreti legislativi per sostenere l’equilibrio tra famiglia e lavoro, incentivare il lavoro femminile e riorganizzare la disciplina relativa ai congedi parentali. Segue una tabella di sintesi delle misure approvate, realizzata da IPSOA.Per quanto riguarda i congedi, il governo dovrà agire entro 24 mesi e prevedere, tra i criteri:la possibilità per i genitori di usufruire dei congedi parentali fino al compimento del 14esimo anno d’età del figlio/a;la possibilità di usufruire di permessi retribuiti per i colloqui con gli insegnanti e per la partecipazione attiva al percorso di crescita dei figli;un periodo minimo, non inferiore a due mesi, di congedo parentale non cedibile all’altro genitore per ciascun figlio;un periodo di congedo obbligatorio per il padre lavoratore nei primi mesi dalla nascita del figlio, di durata superiore rispetto a quella prevista dalla legge vigente;l’aumento dell’indennità obbligatoria per il congedo di maternità;l’aumento dei giorni di congedo di paternità obbligatorioche il diritto al congedo di paternità sia garantito con le stesse condizioni ai lavoratori delle pubbliche amministrazioni e del settore privato.Si tratta di criteri che, se effettivamente rispettati dal governo, potranno avvicinare l’Italia all’Europa, promuovendo una divisione più equa del lavoro genitoriale e di cura. Potranno incentivare il settore privato e le tante Elisabetta Franchi ad assumere giovani donne, mettendole dal punto di vista contrattuale sempre più sullo stesso piano delle donne “anta” e degli uomini.I congedi non sono la panacea per tutti i mali, certo, c’è tanto lavoro da fare. Soprattutto se si pensa all’inattività femminile al Sud, che merita sicuramente un discorso a parte (ad es. questione della carenza degli asili nido, questioni socio-culturali ecc.). Ma il Family Act è un buon trampolino di lancio, una prima risposta dello Stato per restituire alle donne la dignità di non dover essere costrette a scegliere tra lavoro e famiglia.
Il Family Act arriva poco più di una settimana dopo lo scoppio della polemica sull’imprenditrice Elisabetta Franchi. Nel suo intervento all’evento organizzato da Il Foglio e Pwc ha spiegato di preferire – per evitare danni economici – l’assunzione di donne sopra i 40 anni d’età perché: «sono già sposate, hanno già avuto figli o si sono già separate». Del resto, «i figli li facciamo noi e comunque il camino in casa lo accendiamo noi, quindi è nostra responsabilità occuparcene» – ha aggiunto.
Si è gridato allo scandalo e sui social non sono mancate iniziative di boicottaggio della stilista. Ci si è focalizzati sulla particolarità dell’episodio, dimenticando quanto sia un pensiero abbastanza comune tra imprenditori e imprenditrici. Lo specchio di un apparato che non ha mai smesso di attribuire alle donne i doveri di cura. Un problema culturale, ma anche politico ed economico, che va affrontato con le giuste misure.
In Italia, sono ancora le donne a farsi carico della famiglia
Anche se negli ultimi anni il livello di partecipazione delle donne al mercato del lavoro si è avvicinato a quello europeo, l’Italia continua a presentare i più elevati tassi di inattività femminile; soprattutto per le donne con carichi familiari, bassi livelli di istruzione e residenti nel Mezzogiorno. Sono ancora le donne a farsi carico della maggior parte delle attività di cura, in lotta costante per conciliare la vita familiare con quella lavorativa. Al contrario, sono molto lenti i progressi nel coinvolgimento degli uomini nella cura della casa e dei figli.
Secondo una ricerca del Censis «l’educazione e la cura dei figli sono ritenuti compiti preminentemente femminili, esercitati quotidianamente dal 97% delle donne italiane». Mentre «il 63,5% degli italiani riconosce, che a volte può essere necessario o opportuno che una donna sacrifichi un po’ del suo tempo libero o della sua carriera per dedicarsi alla famiglia».
Per questo motivo, in Italia, più della metà delle donne fra i 25 e i 49 con figli piccoli non lavora, una donna occupata su tre ha un impiego part time e una donna su quattro lascia il lavoro per cause familiari.
Quali sono le principali politiche di conciliazione lavoro-famiglia in Italia?
In Italia, sul piano formale, esistono congedi parentali, congedo di maternità e congedo di paternità (obbligatorio e facoltativo), ma per come strutturati sono del tutto inefficaci. Andiamo per gradi.
Il Congedo parentale dura massimo 10 mesi per ogni figlio/a e può essere usufruito (in maniera continuativa o meno) nei primi 12 anni di vita. Nei primi 6 anni dalla nascita, i genitori in congedo ricevono il 30% del salario; dai 6 agli 8 anni, l’indennità è del 30% solo se il reddito non eccede un certo importo. Mentre sopra gli 8 anni non c‘è diritto ad alcuna indennità. Nonostante il Congedo parentale preveda una quota paritaria utilizzabile dalle donne e dagli uomini (6 mesi per la madre e 6 mesi per il padre), l’80% dei beneficiari è donna secondo l’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani (tra il 2015 e il 2019).
Secondo il parere degli esperti, il problema sarebbe attribuibile all’indennità bassa (o addirittura assente), all’assenza di incentivi (ad es. un congedo aggiuntivo) e di una quota riservata ai padri.
Il Congedo di maternità è pari a 5 mesi, con un’indennità garantita pari all’80% della retribuzione.
Il Congedo obbligatorio di paternità (introdotto in Italia solo nel 2012) è pari a 10 giorni con l’ultima legge di bilancio. Ѐ da fruire entro i cinque mesi dalla nascita e prevede un’indennità pari al 100% della retribuzione. La sua durata fa posizionare l’Italia agli ultimi posti in Europa.
Il Congedo facoltativo di paternità ha la durata di 1 giorno, da fruire entro i cinque mesi dalla nascita, ed è condizionato alla scelta della madre lavoratrice di non fruire di un giorno di congedo maternità.
Le novità introdotte dal Family Act
Dal 12 maggio 2022 è entrato in vigore il Family Act (legge 7/4/2022 n. 32, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 97 del 27/4/2022). La legge permetterà al governo di adottare uno o più decreti legislativi per sostenere l’equilibrio tra famiglia e lavoro, incentivare il lavoro femminile e riorganizzare la disciplina relativa ai congedi parentali. Segue una tabella di sintesi delle misure approvate, realizzata da IPSOA.

Per quanto riguarda i congedi, il governo dovrà agire entro 24 mesi e prevedere, tra i criteri:
la possibilità per i genitori di usufruire dei congedi parentali fino al compimento del 14esimo anno d’età del figlio/a;
la possibilità di usufruire di permessi retribuiti per i colloqui con gli insegnanti e per la partecipazione attiva al percorso di crescita dei figli;
un periodo minimo, non inferiore a due mesi, di congedo parentale non cedibile all’altro genitore per ciascun figlio;
un periodo di congedo obbligatorio per il padre lavoratore nei primi mesi dalla nascita del figlio, di durata superiore rispetto a quella prevista dalla legge vigente;
l’aumento dell’indennità obbligatoria per il congedo di maternità;
l’aumento dei giorni di congedo di paternità obbligatorio
che il diritto al congedo di paternità sia garantito con le stesse condizioni ai lavoratori delle pubbliche amministrazioni e del settore privato.