Essere napoletani, un valore aggiunto

Tommaso Morlando 05/05/2017
Updated 2017/05/05 at 10:39 PM
6 Minuti per la lettura

Essere napoletani è un valore aggiunto e  non deve essere un peso….

La politica ha svilito la cultura nel nostro Paese”

È quanto trapela con forza dalla chiacchierata con Gianfranco Gallo, attore partenopeo noto al piccolo e grande schermo, intervistato presso il Cotton Movie di Piedimonte Matese.

Appassionato, ci racconta della sua famiglia di artisti legati al teatro e dell’aria pregna di cultura ed arte, respirata sin dalla nascita. Tuttavia, il padre Nunzio Gallo, celebre interprete della canzone napoletana classica, lo voleva laureato, quasi per una forma di riscatto sociale, almeno fino a quando, superato il provino (fatto di nascosto) con Roberto De Simone ed intrapresa la sua carriera artistico teatrale, “è stato fiero e contento ugualmente”.

Io penso che un attore – racconta Gianfranco – debba passare per cinema, teatro e TV prima di capire quello per cui si sente portato. Ultimamente, mi piace molto il cinema perché mi dà l’opportunità di recitare in maniera diversa, di concentrarmi sul volto, sui pensieri, sulle immagini”. Ha lavorato con registi d’autore, da Marco Risi a Guido Lombardi, da Alessandro Piva ad Edoardo De Angelis, tutti molto attenti ai dettagli e minuziosi nel preparare le scene. “Né il cinema né il teatro si improvvisano – precisa – anche se spesso si cade nell’equivoco che gli attori di teatro siano più bravi di quelli del cinema, in realtà si tratta di due tipi di recitazione diverse. Per fare cinema mi è servito molto fare tv, mi ha aiutato a concentrarmi nonostante gli spazi ristretti, i fonici addosso ed i continui ciak che interrompono la recitazione. Totalmente diverso è in teatro dove, calato nel personaggio per 90 minuti, ti prendi gli spazi di cui hai bisogno.

Esser stato doppiatore, lo ha naturalmente indotto a curare la dizione tanto da poter interpretare ruoli diversi. “Cullarsi nella sola lingua napoletana induce parecchi registi a dare per scontato che gli attori partenopei siano da coinvolgere solo quando c’è da fare un film sulla camorra oppure occorre parlare in lingua. È un’etichetta che mi dà fastidio. Essere napoletani è un valore aggiunto e non deve essere un peso”.

L’attore è una figura che nasconde più di quanto mostri, sacrifici e duro lavoro che si celano dietro una maschera: “Il lavoro dell’attore sfibra mentalmente e fisicamente. Se vuoi farlo bene non hai una tua vita. Il cinema più del teatro ti prende tutto per un lungo periodo tanto da costringerti spesso a dimenticare tutto il resto. Tuttavia, se la passione muove i tuoi passi sarebbero da evitare tutti quei meccanismi farraginosi in cui si sborsano soldi senza imparare nulla. L’ideale sarebbe una Scuola, una Compagnia seria dove lavorare ed imparare, sia sul palco che dietro le quinte. Oggi non ce ne sono più di queste scuole. Recentemente sono stato a trovare Roberto (De Simone, ndr): non sta bene fisicamente ma si lamenta della politica, che sta svilendo l’arte a tutti i livelli, e dell’assenza di una programmazione concreta per i teatri napoletani. Anche se, in questo periodo, a Napoli c’è un gran fermento nel cinema e nella TV è ancora carente una vera e propria cultura dell’arte teatrale nei ragazzi, indotti a seguire le mode del momento più che a comprendere e ad amarne la storia”.

Gianfranco è anche Autore e nella sua ultima fatica letteraria si è divertito ad immaginare e raccontare i sette vizi dei napoletani. “Fanno parte di noi, del popolo napoletano e sono spesso dei neologismi o metafore attraverso cui si esprime un concetto”. Tra questi, la maschimeschinità, in realtà non esiste ma rende chiaramente l’idea; la cazzimma, delle cose che spesso ci si rivolta contro, la bizzuocaria, che vede la contemporanea presenza di religiosità e “’na rattata ‘e palle” (scusate ma rende bene l’idea); la vittimismeria, che esalta il vittimismo dei napoletani e la sfrantummazione, intesa come accidia all’ennesima potenza. Queste ed altre ancora, tutte interpretate in modo caustico ed ironico col fratello Massimiliano ed accompagnati dal chitarrista Antonio Maiello, in un viaggio dritto all’indole dei napoletani.
“Sapere dei nostri vizi, ammetterli, conoscerli, parlarne e scherzarci su ci fa crescere e ci rende quel che siamo. Dopotutto la grandezza dei napoletani è in una comicità amara, riflessiva. Basti pensare a Totò, Eduardo, Viviani, Troisi. Siamo simpatici sì ma non puoi essere napoletano senza sofferenza, è impossibile; se fai solo ridere, vuol dire che sei scemo o che vuoi fottere qualcuno”.

di Annamaria La Penna
annamarialapenna@gmail.com

Segue uno slideshow di alcuni scatti dello spettacolo “I sette vizi napoletani”, tenutosi a Piedimonte Matese (CE).

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