Emergenza climatica: quanto siamo preoccupati?

Emergenza climatica: il cambiamento è “ora”

Cristina Siciliano 10/11/2022
Updated 2022/11/09 at 7:18 PM
7 Minuti per la lettura

Maglioni, cappotti e tute da sci possono ancora attendere. È vero, anche il mese di ottobre è terminato ma quello di novembre continua a registrare temperature ben lontane dalla media stagionale. Infatti, le temperature per i prossimi giorni continueranno a restare anomale, decisamente sopra la media stagionale.

La colonnina di mercurio indica che siamo oltre gli 8-10 gradi al di sopra della media del periodo. Il fiume Po è di nuovo in secca e l’acqua si trova a –2,3 metri rispetto allo zero idrometrico. E non si tratta di una piacevole anomalia; piuttosto del preoccupante aumento della temperatura della Terra attribuito ai cambiamenti climatici indotti dall’uomo.

Detto ciò, nel mese di novembre e dicembre dovrebbero prevalere venti come scirocco e libeccio e temperature superiori alla media stagionale, soprattutto al Centro-Sud. Pertanto, il problema dell’emergenza climatica resta, e la situazione è più grave di quanto si possa percepire.

Il cambiamento climatico è “ora”

Il cambiamento climatico non è un problema futuro, sta accadendo proprio ora. E l’ultimo allarme lo lancia proprio l’Onu. Il nuovo rapporto delle Nazioni Unite sul futuro climatico ci dice che è già troppo tardi per contenere il riscaldamento globale a 1,5 gradi centigradi.

A oggi, infatti, la temperatura a livello globale è già aumentata di 1,2 gradi centigradi. Per questo motivo, gli scienziati ritengono che il riscaldamento di questo secolo sarà probabilmente compreso tra i due e i tre gradi. Parliamo quindi di un incremento di 2,8 gradi centigradi.

In effetti questo equivale a sempre più frequenti ondate di calore che porteranno a siccità, inondazioni, ghiacciai che si fondono, incendi, aumento della fame e morti precoci.

Dati allarmanti: ultimi 8 anni più caldi di sempre

Gli ultimi 8 anni sono stati i più caldi fra quelli registrati finora, alimentati da concentrazioni sempre crescenti di gas serra e dal calore accumulato nel mare. Tale aumento delle temperature è dovuto all’aumento delle concentrazioni dei principali gas serra nell’atmosfera (anidride carbonica, metano, diossido di azoto).

Questi gas hanno raggiunto livelli record nel 2021 e continuano a salire nel 2022. Il caldo fa sciogliere le calotte polari e i ghiacciai e provoca l’innalzamento del livello dei mari, che minaccia stati insulari e territori costieri. Inoltre, causa desertificazione ed eventi meteorologici estremi, migliaia di persone sono state uccise. Altre milioni di persone, invece, sono private dei mezzi di sostentamento, condannate a fame, miseria e migrazioni. Caldo e disastri fanno poi proliferare una serie di malattie.

Secondo il rapporto della Wmo (World Meteorological Organization) la siccità nel 2022 ha ridotto alla fame 19 milioni di persone nell’Africa orientale, mentre le alluvioni hanno ucciso 1.700 persone in Pakistan e hanno costretto quasi 8 milioni a lasciare i loro villaggi. Queste sono le conseguenze più gravi del riscaldamento globale quest’anno. Queste conseguenze investono tutti e colpiscono duramente non solo i Paesi in via di sviluppo.

Chi è pronto a combattere l’emergenza climatica?

Dall’analisi di Unfccc, l’organismo Onu che si occupa della convenzione quadro sui cambiamenti climatici, emerge che solo 26 Paesi su 193 si sono impegnati a rinnovare nel giro di un anno gli sforzi per combattere il cambiamento climatico come promesso nel corso del vertice di Glasgow del 2021. Tra gli “inadempienti”, per citarne alcuni, ci sono i Paesi dell’Unione Europea, quindi anche l’Italia, e gli Stati Uniti.

Prima la pandemia, poi, la Guerra in Ucraina, la crisi energetica internazionale e l’inflazione hanno “distratto” i leader politici italiani e reso più complicati gli sforzi di cooperazione per affrontare il cambiamento climatico. Ci si augura che le due settimane di vertice sul clima a Sharm rimettano al centro la questione ambientale, anche detta “la battaglia del secolo”.

In primo piano sul tavolo della Cop27 ci sarà la proposta dei Paesi più vulnerabili, che affrontano i peggiori impatti della crisi climatica e che sono meno in grado di farvi fronte, su come i Paesi ricchi dovrebbero compensare le “perdite e i danni” causati dal climate change. I termini “perdite e danni” fanno riferimento agli impatti disastrosi che hanno avuto e stanno avendo nel mondo i cambiamenti climatici in atto, provocati principalmente dai Paesi ricchi e più inquinanti, come le pesanti inondazioni che hanno colpito il Pakistan nei mesi scorsi. L’Europa e gli Stati Uniti stanno già facendo opposizione sul punto, in parte perché temono di essere ritenuti legalmente responsabili per i costi vertiginosi dei disastri ambientali.

La sfida contro l’emergenza climatica è immane e non basterà di certo un summit climatico per risolverla. Una presa di coscienza da parte di tutti gli Stati che il nostro mondo è vicino a un collasso climatico irreversibile è già un passo in avanti. Siamo però, sempre più vicini al punto di non ritorno e sicuramente, ce lo siamo sentiti dire tante volte.

Ad ogni modo, oggi solo una trasformazione radicale delle nostre economie e delle nostre società potrebbe salvarci dall’accelerazione del disastro climatico. Quindi, è necessario mettere in campo tutte le azioni che servono per ridurre il nostro impatto ambientale soprattutto in emissioni di gas serra per decelerare il meccanismo di riscaldamento globale che abbiamo visto negli ultimi decenni. Di conseguenza, la domanda che dobbiamo ogni giorno porci è: come possiamo cambiare la nostra vita per cercare di ridurre gli impatti del cambiamento climatico?

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