Dedicare un numero a chi si sacrifica e crede nelle proprie competenze è sempre un po’ difficile. In prima battuta è complesso parlare della preparazione che sottace a un traguardo raggiunto, non perché non sia valida, ma semplicemente risulta noiosa ai più. Oggi in tanti se ne fregano dei valori ideali e morali di cui è animata una persona, se ne infischiano dei sacrifici o della sua storia personale, tutto è incentrato su ciò che si produce, se ci è utile o ci diverte. La costante condivisione che ci vede immersi nel mondo social, trova difficoltà ad avere un altrettanto forte riscontro nella realtà. Pare che siamo sempre più stanchi di ascoltare l’altro, soffermandoci con interesse a ciò che ha da condividere con noi; in questo modo le parole di chi ci è davanti diventano interessanti solo se ci sembrano utili. È difficile raccontare la storia di chi è riuscito a realizzarsi, perché semplicemente quella persona non siamo noi, a fronte di tale triste realtà, lo scopo del di questo numero di Informare è condividere con i nostri lettori il piacere di ascoltare storie di passione animate dalla volontà di emergere in territori difficili.
La seconda motivazione della crisi della “noiosa competenza” è che non porta un profitto immediato: il che è vero, chi spende il proprio tempo per professionalizzarsi e ampliare la sua cultura, investe in un risultato futuro. Nel periodo storico illuminato dal mantra del “tutto e subito”, la competenza diventa un qualcosa che ci fa perdere tempo e che, al massimo, può essere affinata solo dopo aver raggiunto il successo auspicato. È il frutto di una linea di pensiero costantemente volta a valorizzare il contenitore più del contenuto, dove l’immagine e l’interesse che essa porta diviene molto più potente di ciò che si comunica, del proprio peso politico e culturale.
In questo marasma viene meno è la persona, con il proprio bagaglio culturale e il senso profondo che vuole condividere. Abbiamo deciso di fermarci e porre attenzione sulle storie di chi avevamo davanti, andando a scavare nella loro intimità con la premura di chi ha tra le mani pezzi di vissuto. È questo il bello del nostro mestiere: entrare nell’esperienza del nostro interlocutore per dargli voce. Non lo abbiamo fatto solo con le eccellenze locali, come Nicola Goglia, ma anche con coloro forgiati da un vissuto intriso di dolore. Nella piena condivisione di un sentimento straziante, abbiamo ascoltato le storie di immigrati, braccianti, che hanno subìto abusi sessuali dai propri caporali. Abbiamo indagato il fenomeno del lavoro nero dall’interno, sviscerando la sua logiche perversa che determina, per migliaia di giovani della nostra regione, l’ingresso nella vita “degli adulti”.
Ad ognuno dei nostri interlocutori diciamo grazie, perché siamo onorati di una fiducia che troviamo difficoltà a riscontrare persino tra i nostri affetti. La forza della loro condivisione ci dà speranza di continuare a lavorare come giornalisti liberi di raccontare la realtà con gli occhi di chi dà voce alla propria esperienza.